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Quale Cittadinanza e qual modello di società futura per il nostro Paese?

by Redazione

Pubblichiamo l’introduzione di Giuseppe Casucci al workshop sullo  “Ius Soli”, Roma 19 luglio 2017, organizzato dalla UIL Nazionale e da Nessun Luogo è Lontano. A breve anche la sintesi dell’incontro.

La riforma della legge 91/1992 sulla cittadinanza – approvata  alla Camera in ottobre del 2015 – è ferma in Senato da 21 mesi ed è oggetto e motivo di grande scontro istituzionale. La vicina conclusione della legislatura fa temere per una traiettoria inconcludente del dibattito parlamentare, come testimoniato dalle ultime sedute del Senato e soprattutto dalle recenti dichiarazioni del premier Gentiloni.

La proposta di legge riguarda lo status dei minori stranieri residenti nel nostro Paese, ma viene percepita (almeno da una parte della politica) come una contesa sul modello di società italiana nel futuro. Inoltre, si mischiano pretestuosamente sbarchi e diritti civili, come se i secondi fossero subordinati all’andamento dei primi e viceversa.

L’Italia è un Paese socialmente in declino, e nemmeno l’immigrazione ai tassi attuali potrà forse compensare la perdita di popolazione (e di sviluppo) in atto da anni. Malgrado ciò, una parte della politica nostrana si ammanta di parole d’ordine e promuove crociate anti straniero, come se fossero loro i colpevoli della crisi italiana e non la debacle italiana (economica e demografica)  la causa della fuga dei nostri giovani dal Belpaese.

Perché?

In realtà la geopolitica dei cambiamenti attuali – che parte dall’Africa e dal Medio oriente in questo lato del mondo, e coinvolge l’Europa – è il frutto di complessi fattori intercontinentali difficilmente gestibili da un solo Paese e forse neanche dall’intero continente europeo. Non va dimenticato – guerre a parte – che l’Africa raddoppierà la sua popolazione in questo scorcio di secolo con conseguenze ancora poco considerate dai politici nostrani.

In realtà da qualche anno assistiamo in Italia a un fenomeno più complesso e controverso. Mentre negli anni 2000-2010 la media degli ingressi stranieri viaggiava sui 300 mila immigrati l’anno, oggi gli ingressi per lavoro dall’estero si sono ridotti virtualmente a zero, mentre una quota crescente di italiani (specialmente giovani) lascia l’Italia per non ritornare. Negli ultimi tre anni si valuta che almeno mezzo milione di italiani e 300 mila immigrati abbiano abbandonato il Belpaese. Tutto ciò a fronte di arrivi sulle coste italiane di sbarchi, a carattere prevalentemente economico, in realtà diretti in altri Paesi e bloccati in Italia dal meccanismo a collo di bottiglia del Regolamento di Dublino. Tutto questo alimentato dal protezionismo dell’Europa sull’immigrazione, che con i suoi divieti ha consegnato nelle mani del racket un mercato delle braccia che il Corriere della sera ha recentemente calcolato in 400 milioni di euro l’anno.

C’è poi da considerare l’andamento demografico nel nostro paese che dovrebbe preoccupare non poco il legislatore visto che la bassa fertilità degli italiani (1,39 figli per coppia) e la fortunata diminuzione nel numero dei decessi, che porta la popolazione italiana ad invecchiare e a perdere consistenza a un tasso di 100-150 mila persone l’anno (vedi dati Eurostat 2016).

La prima riflessione è che l’Italia (e l’Europa) subiscono l’immigrazione e non fanno nulla per governarne gli aspetti positivi (professionalità, promozione del lavoro legale, valorizzazione delle diversità, ecc.).

La seconda reazione è soprattutto di stupore: se perdiamo pezzi di popolazione; se un numero crescente dei nostri anziani avrà sempre di più bisogno di nuovi immigrati, perché allora una parte delle istituzioni e partiti fanno loro la guerra, fino a negare diritti fondamentali agli stessi bambini figli d’immigrati?

Sul tema della riforma della cittadinanza, infatti, si leggono dichiarazioni sui media, secondo le quali l’approvazione della riforma avrebbe un effetto di richiamo per altri migranti stazionati in Libia.

Dal lato opposto si paventa il rischio che la non approvazione della riforma ritarderebbe il processo d’integrazione dei cittadini stranieri (e loro figli) con gravi rischi sul tessuto sociale e sulla stessa sicurezza (vedi vicende terroristiche in alcuni Paesi europei).

Da qui la necessità di capire cosa succederà se passa la riforma o se – al contrario – non verrà approvata.

Per rispondere a questo coacervo di contraddizioni, abbiamo messo insieme un gruppo di esperti, rappresentanti istituzionali e addetti ai lavori per parlarne. Non c’è dubbio che l’impatto della riforma della cittadinanza ha un carattere antropologico che impone differenti linee di riflessione: sociale, culturale, religiosa, burocratica e d’identità.

Sociale, perché concerne la demografia, l’economia e lo sviluppo della nostra e di altre società;

Culturale e religiosa, la convivenza tra molte culture, e la tolleranza tra credi diversi, è un laboratorio positivo o motivo di possibile conflitto?

Amministrativo/burocratica: con lo Ius Soli, in cinque anni almeno, un quarto dell’attuale popolazione residente straniera acquisterebbe la nazionalità italiana. Le loro famiglie di primo grado potranno usufruire dei diritti spettanti agli affini degli europei.

Di identità: un milione di persone acquisteranno il diritto al voto (attivo e passivo). Con quali effetti in termini d’identità nazionale?

Situazione ad oggi ed impatto della riforma

In base alla legge attuale, gli immigrati possono chiedere la cittadinanza italiana solo se hanno la residenza in Italia da almeno dieci anni consecutivi (oltre a un reddito certo e il regolare pagamento dei contributi negli ultimi 3 anni al momento della richiesta) o dopo 3 anni di matrimonio con partner di cittadinanza italiana (periodo dimezzato se ci sono figli). Se invece il soggetto straniero nasce in Italia, deve comunque aspettare il compimento dei 18 anni per farne richiesta. La procedura della cittadinanza per naturalizzazione era in generale lunga e costosa, ma negli ultimi anni con l’introduzione del permesso elettronico e (recentemente) con la diminuzione dei costi di sovrattassa, il numero di cittadinanze accettate è andato progressivamente aumentando. Dal 2014 assistiamo a un aumento di concessione delle cittadinanze: si tratta in parte dei 700 mila stranieri che furono regolarizzati nel 2003 e che, trascorsi 10 anni, hanno presentato la domanda di cittadinanza.

Negli ultimi dieci anni quasi un milione di stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana. Il trend è tra i più alti in Europa.

Tra le prime dieci comunità straniere che hanno registrato il maggior numero di procedimenti conclusi favorevolmente, diverse sono a prevalenza musulmana (Marocco, Bangladesh, Pakistan, Tunisia, Egitto e Senegal). Tenendo conto della percentuale di appartenenza religiosa nei paesi di origine (studio del PEW Research Center), è possibile stimare in circa 190 mila gli stranieri musulmani che sono diventati italiani nel triennio 2013-15.

Attualmente gli stranieri di religione mussulmana sono circa 1,4 milioni e sono raddoppiati nell’ultimo decennio. Relativamente alla modalità di acquisizione, drasticamente in calo è quella per matrimonio, in aumento quella per residenza, stabile quella per trasmissione ed elezione.

I possibili effetti della riforma

Secondo un recente studio della Fondazione Moressa i minorenni stranieri nati in Italia, figli di genitori residenti da almeno 5 anni sono 634 mila, che con l’introduzione dello ius soli ‘temperato’, diventerebbe automaticamente italiani. A cui andrebbero aggiunti altri 166 mila ragazzi – che beneficerebbero dello ‘ius culturae’ – nati all’estero, e che hanno già completato un ciclo di studio in Italia. Per un totale di 800 mila potenziali nuovi italiani. A questi andrebbero poi aggiunti circa 50/60 mila minori che ogni anno in futuro acquisterebbero il diritto a richiedere la cittadinanza.

E’ facile quindi comprendere che con l’entrata in vigore della proposta di legge, questa avrebbe un impatto importante anche sulla popolazione straniera musulmana, ossia quel 1,4 milioni di musulmani stranieri attualmente residenti in Italia.

Infatti, secondo il Ministero dell’Istruzione, sono circa 300mila i ragazzi musulmani che frequentano il Sistema scolastico italiano, di cui oltre la metà nati in Italia. Questi senza aspettare il compimento dei 18 anni, vedrebbero applicarsi lo ‘ius soli temperato’ e lo ‘ius culturae’ immediatamente, diventando automaticamente italiani. Se attualmente i 2/3 dei musulmani in Italia ha ancora un passaporto straniero, con la nuova legge è possibile ipotizzare che nel corso del prossimo decennio, la gran maggioranza dei musulmani stranieri residenti oggi sul territorio sarà divenuta italiana. Ciò implica che nel lungo periodo, avremo una collettività musulmana con una carta in più per procedere sul cammino dell’integrazione.

E’ questo aspetto a preoccupare la destra italiana?

Questo se la riforma verrà approvata. Se non accadrà, avremo comunque un prevedibile alto tasso di accettazione delle domande di cittadinanza, che nei prossimi cinque anni raddoppierà il numero di cittadini nati all’estero divenuti italiani. In effetti, considerando che l’iter di lavorazione delle domande di cittadinanza è andato considerevolmente accelerando, abbiamo una media di circa 200 mila nuovi cittadini l’anno. Dunque, lo Ius soli procederà comunque lungo il cammino delle naturalizzazioni e dei giovani nati in Italia, quando raggiungono i 18 anni. Tendenza che naturalmente andrà scemando nei prossimi anni, visto che non vi sono state più sanatorie.

Demografia e diritti

Il tema dei diritti degli stranieri ha a che vedere con il modello di società futura; ma la loro presenza in Italia e in Europa è più l’effetto di macro fattori (gap demografico, gap nello sviluppo, guerre, cambiamenti ambientali) che non di scelte conseguenti alla governance dei flussi, o all’assenza di essa.

Governare i flussi migratori è un giusto, ma difficile obiettivo. Ci chiediamo: l’incapacità dei governi a realizzarlo è condizione o motivo sufficiente a giustificare la limitazione dei diritti civili di chi non è ancora italiano, anche se lavora, paga le tasse e rispetta le leggi come noi? Cittadinanza, voto, pieno godimento dei servizi, per fare qualche esempio.

Qualcuno ha osservato che una legge più favorevole sulla cittadinanza non dev’essere un diversivo scelto dai cittadini stranieri, soprattutto per aggirare le maglie della burocrazia (vedi permessi di soggiorno).

A nostro avviso, vi sono tre aspetti principali che differenziano il gap nei diritti tra un lungo soggiornante e un neo cittadino italiano: il diritto al voto, l’accesso ad alcuni ruoli (critici) nella pubblica amministrazione e la libera circolazione in Europa.

Basterebbe dunque appianare queste differenze e rendere più fluido l’accesso al permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, per non dover ricorrere alla cittadinanza italiana, che rimarrebbe una scelta che lo straniero arriva a fare in maniera ragionata, e con piena coscienza dei diritti e dei doveri a essa connessi. Questo a maggior ragione perché gli studi confermano che una parte degli stranieri, una volta ottenuta la cittadinanza, lasciano il Belpaese per cercare altrove il proprio futuro.

Questa tesi porterebbe ad un ragionamento contrario a quello dei fautori della riforma: valeva la pena di iniziare una guerra di religione sullo Ius Soli? Non si poteva arrivare lo stesso a eliminare le discriminazioni esistenti tra lungo soggiornanti e cittadini?

Siamo qui per parlare di tutto questo.


Quale Cittadinanza e qual modello di società futura per il nostro Paese?

by Redazione

Pubblichiamo l’introduzione di Giuseppe Casucci al workshop sullo  “Ius Soli”, Roma 19 luglio 2017, organizzato dalla UIL Nazionale e da Nessun Luogo è Lontano. A breve anche la sintesi dell’incontro.

La riforma della legge 91/1992 sulla cittadinanza – approvata  alla Camera in ottobre del 2015 – è ferma in Senato da 21 mesi ed è oggetto e motivo di grande scontro istituzionale. La vicina conclusione della legislatura fa temere per una traiettoria inconcludente del dibattito parlamentare, come testimoniato dalle ultime sedute del Senato e soprattutto dalle recenti dichiarazioni del premier Gentiloni.

La proposta di legge riguarda lo status dei minori stranieri residenti nel nostro Paese, ma viene percepita (almeno da una parte della politica) come una contesa sul modello di società italiana nel futuro. Inoltre, si mischiano pretestuosamente sbarchi e diritti civili, come se i secondi fossero subordinati all’andamento dei primi e viceversa.

L’Italia è un Paese socialmente in declino, e nemmeno l’immigrazione ai tassi attuali potrà forse compensare la perdita di popolazione (e di sviluppo) in atto da anni. Malgrado ciò, una parte della politica nostrana si ammanta di parole d’ordine e promuove crociate anti straniero, come se fossero loro i colpevoli della crisi italiana e non la debacle italiana (economica e demografica)  la causa della fuga dei nostri giovani dal Belpaese.

Perché?

In realtà la geopolitica dei cambiamenti attuali – che parte dall’Africa e dal Medio oriente in questo lato del mondo, e coinvolge l’Europa – è il frutto di complessi fattori intercontinentali difficilmente gestibili da un solo Paese e forse neanche dall’intero continente europeo. Non va dimenticato – guerre a parte – che l’Africa raddoppierà la sua popolazione in questo scorcio di secolo con conseguenze ancora poco considerate dai politici nostrani.

In realtà da qualche anno assistiamo in Italia a un fenomeno più complesso e controverso. Mentre negli anni 2000-2010 la media degli ingressi stranieri viaggiava sui 300 mila immigrati l’anno, oggi gli ingressi per lavoro dall’estero si sono ridotti virtualmente a zero, mentre una quota crescente di italiani (specialmente giovani) lascia l’Italia per non ritornare. Negli ultimi tre anni si valuta che almeno mezzo milione di italiani e 300 mila immigrati abbiano abbandonato il Belpaese. Tutto ciò a fronte di arrivi sulle coste italiane di sbarchi, a carattere prevalentemente economico, in realtà diretti in altri Paesi e bloccati in Italia dal meccanismo a collo di bottiglia del Regolamento di Dublino. Tutto questo alimentato dal protezionismo dell’Europa sull’immigrazione, che con i suoi divieti ha consegnato nelle mani del racket un mercato delle braccia che il Corriere della sera ha recentemente calcolato in 400 milioni di euro l’anno.

C’è poi da considerare l’andamento demografico nel nostro paese che dovrebbe preoccupare non poco il legislatore visto che la bassa fertilità degli italiani (1,39 figli per coppia) e la fortunata diminuzione nel numero dei decessi, che porta la popolazione italiana ad invecchiare e a perdere consistenza a un tasso di 100-150 mila persone l’anno (vedi dati Eurostat 2016).

La prima riflessione è che l’Italia (e l’Europa) subiscono l’immigrazione e non fanno nulla per governarne gli aspetti positivi (professionalità, promozione del lavoro legale, valorizzazione delle diversità, ecc.).

La seconda reazione è soprattutto di stupore: se perdiamo pezzi di popolazione; se un numero crescente dei nostri anziani avrà sempre di più bisogno di nuovi immigrati, perché allora una parte delle istituzioni e partiti fanno loro la guerra, fino a negare diritti fondamentali agli stessi bambini figli d’immigrati?

Sul tema della riforma della cittadinanza, infatti, si leggono dichiarazioni sui media, secondo le quali l’approvazione della riforma avrebbe un effetto di richiamo per altri migranti stazionati in Libia.

Dal lato opposto si paventa il rischio che la non approvazione della riforma ritarderebbe il processo d’integrazione dei cittadini stranieri (e loro figli) con gravi rischi sul tessuto sociale e sulla stessa sicurezza (vedi vicende terroristiche in alcuni Paesi europei).

Da qui la necessità di capire cosa succederà se passa la riforma o se – al contrario – non verrà approvata.

Per rispondere a questo coacervo di contraddizioni, abbiamo messo insieme un gruppo di esperti, rappresentanti istituzionali e addetti ai lavori per parlarne. Non c’è dubbio che l’impatto della riforma della cittadinanza ha un carattere antropologico che impone differenti linee di riflessione: sociale, culturale, religiosa, burocratica e d’identità.

Sociale, perché concerne la demografia, l’economia e lo sviluppo della nostra e di altre società;

Culturale e religiosa, la convivenza tra molte culture, e la tolleranza tra credi diversi, è un laboratorio positivo o motivo di possibile conflitto?

Amministrativo/burocratica: con lo Ius Soli, in cinque anni almeno, un quarto dell’attuale popolazione residente straniera acquisterebbe la nazionalità italiana. Le loro famiglie di primo grado potranno usufruire dei diritti spettanti agli affini degli europei.

Di identità: un milione di persone acquisteranno il diritto al voto (attivo e passivo). Con quali effetti in termini d’identità nazionale?

Situazione ad oggi ed impatto della riforma

In base alla legge attuale, gli immigrati possono chiedere la cittadinanza italiana solo se hanno la residenza in Italia da almeno dieci anni consecutivi (oltre a un reddito certo e il regolare pagamento dei contributi negli ultimi 3 anni al momento della richiesta) o dopo 3 anni di matrimonio con partner di cittadinanza italiana (periodo dimezzato se ci sono figli). Se invece il soggetto straniero nasce in Italia, deve comunque aspettare il compimento dei 18 anni per farne richiesta. La procedura della cittadinanza per naturalizzazione era in generale lunga e costosa, ma negli ultimi anni con l’introduzione del permesso elettronico e (recentemente) con la diminuzione dei costi di sovrattassa, il numero di cittadinanze accettate è andato progressivamente aumentando. Dal 2014 assistiamo a un aumento di concessione delle cittadinanze: si tratta in parte dei 700 mila stranieri che furono regolarizzati nel 2003 e che, trascorsi 10 anni, hanno presentato la domanda di cittadinanza.

Negli ultimi dieci anni quasi un milione di stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana. Il trend è tra i più alti in Europa.

Tra le prime dieci comunità straniere che hanno registrato il maggior numero di procedimenti conclusi favorevolmente, diverse sono a prevalenza musulmana (Marocco, Bangladesh, Pakistan, Tunisia, Egitto e Senegal). Tenendo conto della percentuale di appartenenza religiosa nei paesi di origine (studio del PEW Research Center), è possibile stimare in circa 190 mila gli stranieri musulmani che sono diventati italiani nel triennio 2013-15.

Attualmente gli stranieri di religione mussulmana sono circa 1,4 milioni e sono raddoppiati nell’ultimo decennio. Relativamente alla modalità di acquisizione, drasticamente in calo è quella per matrimonio, in aumento quella per residenza, stabile quella per trasmissione ed elezione.

I possibili effetti della riforma

Secondo un recente studio della Fondazione Moressa i minorenni stranieri nati in Italia, figli di genitori residenti da almeno 5 anni sono 634 mila, che con l’introduzione dello ius soli ‘temperato’, diventerebbe automaticamente italiani. A cui andrebbero aggiunti altri 166 mila ragazzi – che beneficerebbero dello ‘ius culturae’ – nati all’estero, e che hanno già completato un ciclo di studio in Italia. Per un totale di 800 mila potenziali nuovi italiani. A questi andrebbero poi aggiunti circa 50/60 mila minori che ogni anno in futuro acquisterebbero il diritto a richiedere la cittadinanza.

E’ facile quindi comprendere che con l’entrata in vigore della proposta di legge, questa avrebbe un impatto importante anche sulla popolazione straniera musulmana, ossia quel 1,4 milioni di musulmani stranieri attualmente residenti in Italia.

Infatti, secondo il Ministero dell’Istruzione, sono circa 300mila i ragazzi musulmani che frequentano il Sistema scolastico italiano, di cui oltre la metà nati in Italia. Questi senza aspettare il compimento dei 18 anni, vedrebbero applicarsi lo ‘ius soli temperato’ e lo ‘ius culturae’ immediatamente, diventando automaticamente italiani. Se attualmente i 2/3 dei musulmani in Italia ha ancora un passaporto straniero, con la nuova legge è possibile ipotizzare che nel corso del prossimo decennio, la gran maggioranza dei musulmani stranieri residenti oggi sul territorio sarà divenuta italiana. Ciò implica che nel lungo periodo, avremo una collettività musulmana con una carta in più per procedere sul cammino dell’integrazione.

E’ questo aspetto a preoccupare la destra italiana?

Questo se la riforma verrà approvata. Se non accadrà, avremo comunque un prevedibile alto tasso di accettazione delle domande di cittadinanza, che nei prossimi cinque anni raddoppierà il numero di cittadini nati all’estero divenuti italiani. In effetti, considerando che l’iter di lavorazione delle domande di cittadinanza è andato considerevolmente accelerando, abbiamo una media di circa 200 mila nuovi cittadini l’anno. Dunque, lo Ius soli procederà comunque lungo il cammino delle naturalizzazioni e dei giovani nati in Italia, quando raggiungono i 18 anni. Tendenza che naturalmente andrà scemando nei prossimi anni, visto che non vi sono state più sanatorie.

Demografia e diritti

Il tema dei diritti degli stranieri ha a che vedere con il modello di società futura; ma la loro presenza in Italia e in Europa è più l’effetto di macro fattori (gap demografico, gap nello sviluppo, guerre, cambiamenti ambientali) che non di scelte conseguenti alla governance dei flussi, o all’assenza di essa.

Governare i flussi migratori è un giusto, ma difficile obiettivo. Ci chiediamo: l’incapacità dei governi a realizzarlo è condizione o motivo sufficiente a giustificare la limitazione dei diritti civili di chi non è ancora italiano, anche se lavora, paga le tasse e rispetta le leggi come noi? Cittadinanza, voto, pieno godimento dei servizi, per fare qualche esempio.

Qualcuno ha osservato che una legge più favorevole sulla cittadinanza non dev’essere un diversivo scelto dai cittadini stranieri, soprattutto per aggirare le maglie della burocrazia (vedi permessi di soggiorno).

A nostro avviso, vi sono tre aspetti principali che differenziano il gap nei diritti tra un lungo soggiornante e un neo cittadino italiano: il diritto al voto, l’accesso ad alcuni ruoli (critici) nella pubblica amministrazione e la libera circolazione in Europa.

Basterebbe dunque appianare queste differenze e rendere più fluido l’accesso al permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, per non dover ricorrere alla cittadinanza italiana, che rimarrebbe una scelta che lo straniero arriva a fare in maniera ragionata, e con piena coscienza dei diritti e dei doveri a essa connessi. Questo a maggior ragione perché gli studi confermano che una parte degli stranieri, una volta ottenuta la cittadinanza, lasciano il Belpaese per cercare altrove il proprio futuro.

Questa tesi porterebbe ad un ragionamento contrario a quello dei fautori della riforma: valeva la pena di iniziare una guerra di religione sullo Ius Soli? Non si poteva arrivare lo stesso a eliminare le discriminazioni esistenti tra lungo soggiornanti e cittadini?

Siamo qui per parlare di tutto questo.


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