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Siriani in Libano, una situazione difficilissima. Un grido di dolore che pochi ascoltano

by Redazione

Una missione umanitaria, coordinata dal prof. Aldo Morrone,  di assistenza medico sanitaria nel piccolo Paese del Mediterraneo, ci dà un quadro assai critico delle condizioni in cui vivono milioni di persone scappate dalla guerra.

 

Oltre tre anni di guerra in Siria, una distruzione globale, più di 150 mila morti, circa 3 milioni di rifugiati registrati nei paesi vicini e oltre 6 milioni di sfollati interni nel paese. Un quadro desolante che, al momento, non fa certo sperare per una pace possibile.
Il Libano è un paese di 4.5 milioni di abitanti che ha visto negli ultimi tre anni arrivare una marea umana di oltre 1.5 milione di rifugiati dalla Siria. Un paese che già aveva ospitato nella storia degli ultimi 60 anni centinaia migliaia di rifugiati palestinesi che attualmente sono ancora 450 mila. La situazione è molto complessa. A differenza di quanto avvenuto in Giordania e in Turchia dove i rifugiati sono stati sistemati in campi di accoglienza, in Libano i profughi si sono stabiliti tra le comunità locali, ospitati nelle case di parenti o conoscenti o organizzati in tendopoli dentro i villaggi.
Le comunità locali, spesso già caratterizzate da condizioni di povertà e scarsità di servizi sanitari, sociali e scolastici, non sono in grado di sostenere il peso ulteriore della popolazione rifugiata che spesso è tanto numerosa quanto quella locale. Le risposte che le organizzazioni internazionali provano a dare sono insufficienti a fronteggiare l’emergenza e la gravità della situazione. La commistione e la condivisione delle stesse ridotte opportunità esistenti tra siriani e libanesi sono la principale causa di tensioni: usufruire degli stessi servizi sociali, sanitari ed educativi e competere, con tanti problemi, nello stesso mondo del lavoro. Lo sviluppo di uno strutturato sistema di assistenza ai rifugiati siriani messo in atto da una moltitudine di organizzazioni internazionali non ha mancato di innescare anche una comprensibile recriminazione delle comunità locali, dove le condizioni di vita non sono certo migliori di quelle in cui versano i profughi. Per questo, gli interventi di assistenza stanno considerando in misura crescente l’inclusione di componenti dirette alle comunità ospitanti, attività di coesione sociale e progetti di rafforzamento delle Municipalità.
Per avere un quadro più completo possibile, in particolare, della condizione di salute in Libano, occorre sottolineare la debolezza del sistema sanitario nazionale. Il 50 % della popolazione libanese non possiede un’assicurazione sanitaria ed è priva di una protezione sociale di base. Inoltre solo 28 ospedali su oltre 200 sono pubblici. I rifugiati siriani condividono le già scarse risorse e servizi socio-sanitari con i Libanesi che vivono sotto la soglia di povertà. L’85% dei rifugiati vive infatti in 182 aree nelle quali il 67% della popolazione che li ospita vive in condizioni di miseria.
Il sistema socio-sanitario libanese è ormai al tracollo completo e non più in grado di far fronte alle necessità sia dei Libanesi che dei rifugiati siriani. I pochi ospedali pubblici non sono più in grado neppure di garantire l’assistenza alle donne che devono partorire, l’esecuzione di interventi chirurgici d’urgenza e il controllo delle malattie infettive e diffusive.
Il Ministero della Salute rileva che la domanda di vaccini e di farmaci salvavita è almeno triplicata negli ultimi mesi. Il livello di assistenza alle donne in gravidanza, o durante l’allattamento è ormai sempre più scarso. I livelli essenziali di salute e soprattutto la salute materno-infantile è sempre più lontana dagli obiettivi dello Sviluppo del Millennio proclamati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Gli anziani, le persone con malattie croniche e degenerative, così come le persone disabili non riescono a ricevere le cure e il sostegno socio-terapeutico di cui avrebbero bisogno.
L’attività clinico-assistenziale risente molto inoltre della mancanza di specialisti in grado di diagnosticare patologie complesse, che rimangono in tal modo non trattate e si diffondono facilmente in tutta la comunità libanese e siriana. Inoltre molte di queste malattie potrebbero diffondersi in altri Paesi in seguito ai fenomeni di mobilità forzata che molti rifugiati siriani sono costretti ad intraprendere per sfuggire agli orrori della guerra civile.
Tra il 2013 ed i primi cinque mesi del 2014, sono stati diagnosticati oltre 2 mila casi di morbillo, una malattia esantematica estremamente contagiosa, che presenta tra le principali complicanze, la broncopolmonite, l’otite, l’encefalite e la cheratite. Fino agli inizi degli anni ottanta, quando si è diffusa la vaccinazione contro il morbillo, si calcola che la malattia uccidesse una media di 2 milioni e mezzo di bambini ogni anno. Nel 2012 sono stati invece “solo” 122 mila le persone uccise dal morbillo, prevalentemente bambini sotto i 5 anni. È del tutto evidente che i casi diagnosticati rappresentino certamente la punta dell’iceberg e sono la conseguenza il fallimento delle politiche vaccinali da parte delle istituzioni sanitarie. Sono stati 2.300 i casi di Epatite A, 270 i casi di Epatite B e 150 casi di Epatite C. La Leishmaniasi, malattia ormai rarissima in Italia, è stata diagnosticata in oltre 1.400 persone, così come la Brucellosi, presente in più di 280 persone. Ci sono stati inoltre più di 500 casi di Febbre tifoide e oltre 260 casi di Meningite. Sono stati 52 i casi di Paralisi acuta flaccida e 9 casi di Poliomielite.
Del tutto recentemente è stato registrato il primo caso di MERS ( (Middle East Respiratory Syndrome), patologia causata da un nuovo coronavirus individuato per la prima volta nel 2012 in Arabia Saudita, che è simile alla SARS (10% di mortalità) ma più acuta arrivando a oltre il 50% di mortalità dei soggetti colpiti dal nuovo ceppo virale. L’origine non è chiarissima ma un veicolo importante sarebbe costituito dai pipistrelli che infettano degli animali che poi vengono consumati, poco cotti, da persone che vengono in questo modo contagiate. Anche il latte di cammella è stato ipotizzato avere un ruolo nella trasmissione dell’infezione. Si tratta di una nuova pericolosa forma di SARS, certamente non facile da diagnosticare in aree geografiche come Siria e Libano.
La Malnutrizione e la Denutrizione rappresentano un nuovo silenzioso e grave pericolo tra i rifugiati siriani in Libano. Principalmente a causa della mancanza di servizi igienici nei campi, della scarsità di acqua potabile, della ridotta capacità delle difese immunitarie soprattutto dei bambini, dalla diffusione di malattie infettive ed infiammatorie, ma soprattutto dalla mancanza di cibo, di alimenti ricchi in proteine e carboidrati e vitamine, che sono sempre più scarsi tra i rifugiati siriani, oltre che per gran parte della popolazione libanese più povera.
La Salute Mentale ha ormai raggiunto livelli drammatici di patologie. In particolare vengono sempre più diagnosticati casi di Depressione, Ansia, Paranoia, e Letargia. Sono numerosissimi i casi di patologie mentali da stress post traumatico. Quest’ultima patologia colpisce rispettivamente tra il 36% e il 63% degli adulti e dei bambini. Molti bambini rifugiati hanno un estremo bisogno di un supporto psicosociale, a causa dell’esperienza di violenza che hanno vissuto e di cui sono stati testimoni dall’inizio della guerra, ma anche queste figure professionali mancano nei Centri per rifugiati.
Le Malattie Gastro-intestinali, il Diabete, l’Ipertensione arteriosa, le patologie Broncopneumologiche, Cardiovascolari ed i Tumori sono diagnosticate in numero sempre maggiore, ma senza ricevere l’adeguato trattamento.
Secondo i dati del Ministero della Salute del Libano, nei primi 4 mesi del 2014, sono stati oltre 2.900 i casi di Scabbia diagnosticati tra i rifugiati e oltre 2.800 quelli affetti dalle diverse forme di Pediculosi (Capitis, Corporis e Pubis). Inoltre più di 11.400 sono state le donne in gravidanza che si sono rivolte agli ospedali per essere seguite durante la gravidanza e il parto.
Altro grave problema, le cui dimensioni rimangono ancora sconosciute sono i casi di Malattie Sessualmente Trasmissibili, in particolare Sifilide e Gonorrea, in gran parte dovute alla violenza e promiscuità sessuale cui sono sottoposte molte donne rifugiate.
Infine numerosi sono i casi di Tubercolosi polmonare che vengono diagnosticati tra i rifugiati. Nei primi 4 mesi del 2014 sono stati oltre 17.000 i casi patologie Tracheo-bronco-polmonari acute diagnosticati e oltre 1.700 quelli di Infezioni cutanee acute. Mentre tra le patologie croniche sono state oltre 1.200 i casi di Ipertensione arteriosa e 920 quelli di Diabete. Tutte le patologie acute colpiscono in gran parte le donne (il 68%.)
Il progetto realizzato da Armadilla grazie ai fondi dell’Otto per Mille della Chiesa Valdese, intende promuovere il miglioramento delle condizioni socio-sanitarie della popolazione rifugiata e delle comunità libanesi ospitanti, entrambe considerate categorie vulnerabili nel contesto attuale. Il progetto include due componenti cruciali: la riduzione delle tensioni sociali e il rafforzamento della capacità di risposta degli attori locali alla situazione di emergenza sanitaria.
Il progetto è una delle tappe del percorso che sta svolgendo Armadilla, con la consulenza medico-scientifica del Prof. Aldo Morrone. Tale attività ha condotto all’identificazione delle priorità di intervento, con la finalità di colmare il “gap” esistente tra i bisogni sanitari esistenti e le risposte date dal Governo Nazionale e dalla comunità internazionale.
L’informazione e l’educazione sanitaria della popolazione, e la capacità di diagnosticare precocemente l’insorgere di malattie, rappresenta il metodo più efficace per la riduzione dei rischi sanitari in contesti di emergenza.
Il progetto, pertanto, include sessioni informative per famiglie siriane e libanesi sulla promozione della salute materno-infantile, campagne di prevenzione e corsi di formazione per il rafforzamento delle capacità del personale medico e socio-sanitario locale. Si avvale della componente di assistenza medico-scientifica del Prof. Aldo Morrone, Direttore del Dipartimento di Medicina Preventiva delle Migrazioni e del Turismo, e Dermatologia Tropicale dell’Ospedale IFO di Roma.
Dal 1° all’8 giugno si è svolta la prima missione del Prof. Aldo Morrone, con importanti risultati. 30 operatori socio-sanitari formati sulle tematiche della prevenzione e diagnosi precoce delle malattie trasmissibili. Una campagna di prevenzione delle malattie trasmissibili della pelle, condotta insieme al personale socio-sanitario locale, che ha coinvolto più di 500 persone, tra bambini e adulti, tra popolazione rifugiata e comunità ospitante, e che si è svolta nell’intera regione del Monte Libano, presso Centri Clinici a Beirut e in una Clinica Mobile per i villaggi più remoti.
Il progetto contribuisce a rafforzare l’impegno dell’Italia per sostenere un paese, il Libano, che maggiormente risente dell’impatto della crisi siriana. E per ridurre il trend migratorio della popolazione rifugiata in Italia e in Europa, con conseguenti problematiche di natura sanitaria, sociale ed economica.
Nel 2013 le domande d’asilo presentate in Europa sono aumentate del 32%. Il principale Paese d’origine dei richiedenti asilo nell’Unione europea è la Siria. Le domande presentate in Italia sono state 27.830, con un aumento del 60% rispetto all’anno precedente.
Di fronte ai quasi 40.000 sbarchi registrati nei primi 5 mesi dell’anno, e alla previsione che «il trend migratorio sia in crescita», anche a causa della maggior instabilità politica in Siria e nei paesi del Nord Africa, la risposta non può essere che una sola: investire in cooperazione socio-sanitaria ed educativa direttamente in questa area del Mediterraneo e del Medio Oriente, per creare le premesse per una pace giusta e duratura che rispetti l’integrità psico-fisica di ogni persona e la sua dignità


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