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“I numeri dell’immigrazione in Italia: tra emergenza e cittadinanza”

by Redazione

E’ il titolo di un interessante articolo scritto da Cinzia Conti e Roberto Petrillo su www.neodemos.it, e che volentieri pubblichiamo per intero.

Il rapporto dell’Istat sui cittadini non comunitari uscito nei giorni scorsi mette in luce come il quadro dell’immigrazione in Italia, pur nella sostanziale stabilità della presenza straniera in termini di valori assoluti – i cittadini non comunitari in Italia continuano ad essere poco meno di 4 milioni (+1,4% rispetto all’anno precedente) – stia profondamente cambiando. Il comunicato mette in crisi teorie sviluppate negli anni passati e segna la fine di tendenze che sono prevalse per lungo tempo.

La prima novità di rilievo è che le migrazioni verso l’Italia non sono più migrazioni per lavoro: Nel corso dell’anno sono stati rilasciati 248.323 nuovi permessi, il 2,9% in meno rispetto al 2013. Sono soprattutto i permessi di lavoro a diminuire sia in termini assoluti (-27.500) sia in termini relativi: rappresentavano il 33% dei nuovi ingressi nel 2013, si attestano al 23% nel 2014 (fig.1). Segnano anche il passo le teorie sulla migrazione di donne bread winner verso l’Italia e quelle che volevano una migrazione di colf e badanti come inarrestabile. La migrazione femminile in Italia sta assumendo invece le caratteristiche più classiche di una migrazione di tipo familiare. La diminuzione dei nuovi flussi è da ricondurre essenzialmente alla decrescita degli ingressi di donne (-14% rispetto al 2013). Nel 2014 le donne sono poco più del 42% dei nuovi flussi. Il peso relativo delle migrazioni femminili resta elevato solo per gli ingressi dovuti a motivi familiari (quasi il 60%), mentre si attesta intorno al 14,5% per i motivi di lavoro.

I dati diffusi dall’Istat mettono anche in luce che si può essere una realtà di immigrazione consolidata pur dovendo continuare a gestire le emergenze, specie nel caso dell’Italia, un Paese comunitario della sponda nord (ma non troppo) del Mediterraneo. La crescita dei permessi per asilo e protezione umanitaria rappresenta dal punto di vista statistico la vera novità dell’ultimo anno e dal punto di vista delle policy un’emergenza di vastissima portata. In termini assoluti gli ingressi per queste motivazioni sono più che raddoppiati (+28.727 ingressi); in termini relativi arrivano al 19,3% dei nuovi ingressi (nel 2013 l’incidenza sul totale dei nuovi permessi era del 7,5%). Al vertice della graduatoria delle cittadinanze di provenienza ci sono Mali, Nigeria e Gambia, che da soli coprono il 42% dei flussi in ingresso per ricerca di asilo e protezione internazionale. Anche la geografia interna di questi flussi è molto diversa rispetto a quella generale degli ingressi in Italia. Il Nord-ovest accoglie il 16,4% dei richiedenti asilo e il Nord-est il 14,4%; il 20,5% dei nuovi permessi per asilo sono stati rilasciati nel Centro Italia. È quindi il Mezzogiorno che ospita la maggior parte di questo tipo di ingressi; la regione maggiormente interessata è la Sicilia con quasi 10mila permessi (il 20% degli ingressi per asilo registrati in Italia); segue il Lazio con la metà dei nuovi rilasci (4.975). Nonostante, quindi, l’istituzione di un sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati distribuito su tutto il territorio nazionale al fine di garantire interventi di “accoglienza integrata”, la Sicilia resta la regione che maggiormente si fa carico di questo tipo di migranti al momento dell’ingresso e del primo soggiorno.

Si tratta evidentemente di tendenze pienamente iscrivibili in un quadro push-pull factors in cui le migrazioni sono un fenomeno molto plastico che si adatta facilmente non solo alle contingenze (vedi la crisi economica), ma anche alle normative vigenti che lasciano più o meno spazio a determinate tipologie di flussi (vedi le regolarizzazioni).

Un altro dato nuovo e per molti versi sorprendente è la crescita velocissima delle acquisizioni di cittadinanza e anche – e forse soprattutto – il mutamento delle caratteristiche dei nuovi italiani. Si tratta di un aumento avvenuto “nonostante”, senza cioè che ci sia stato alcun mutamento normativo sulle modalità di acquisizione e che più di ogni altro fenomeno simboleggia la sedimentazione dell’immigrazione nel nostro Paese. Negli ultimi quattro anni è rapidamente cresciuto il numero di cittadini non comunitari che diventano italiani: sono passati da meno di 50mila nel 2011 a oltre 120mila nel 2014 (+143%); rispetto al 2013 la crescita è stata pari al 28,7%. Se fino al 2008 i dati del Ministero dell’Interno davano come più numerose le acquisizioni di cittadinanza per matrimonio rispetto a quelle per residenza, ormai queste ultime registrano stabilmente un numero maggiore di concessioni (fig.2).

La vera novità degli ultimi anni è rappresentata, invece, dal crescente numero di giovani immigrati e ragazzi di seconda generazione che diventano italiani. Il numero di chi acquisisce la cittadinanza per trasmissione dai genitori o perché, nato in Italia, al compimento del diciottesimo anno di età sceglie la cittadinanza italiana passa da circa 10mila nel 2011 a quasi 48mila nel 2014. Gli under 20 finiscono così per rappresentare il 40% di coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana nel 2014. Si tratta quindi di un numero non trascurabile di giovani neo-italiani che ogni anno ormai dalla cittadinanza straniera transitano in quella italiana; in molti casi il passaggio avviene senza che gli interessati abbiano mai vissuto l’esperienza migratoria. Il dibattito parlamentare in corso non potrà non tenere conto di questo evidente interesse dei giovani stranieri ad acquisire la cittadinanza italiana. Gestire l’emergenza, programmare la cittadinanza

Dal rapporto Istat emerge, quindi, un quadro non solo complesso, ma in continuo e rapido mutamento che, dal punto di vista della gestione politica, necessita da un lato altrettanta rapidità e capacità di adattamento, dall’altra lo sviluppo di politiche di medio e lungo termine che consenta di favorire l’integrazione anche delle seconde generazioni, una risorsa senz’altro fondamentale per il Paese.

* Istat

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle degli autori ma non coinvolgono le istituzioni di appartenenza.


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