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Il 25 Aprile. Proprio di tutti, no.

by Redazione

Poi uno dice quanto ti condizionano i genitori. Altro che se condizionano. Mio padre era fascista, aveva diciotto anni e credeva di aver scelto l’avvenire. Si sbagliava, così penso e ho sempre pensato. Non gli piacevano i finti democratici ma, ormai adulto, riteneva che il fascismo fosse stata una grande e tragica chimera. Non lo affermava pubblicamente, perché detestava i convertiti di comodo. Troppa gente, pensava, cade sulla via di Damasco non appena cambiano i capoccia.

Finita la guerra e caduto il fascismo, si scatenarono i bagarini: vecchio mestiere italiano di vendere biglietti taroccati. Gente senza scrupoli che spacciava tessere del Comitato Nazionale di Liberazione. Mio padre ci trovò dentro vecchi federali che si erano improvvisamente scoperti partigiani. In Italia è sempre stata la regola.

Rifiutò l’offerta. Con quegli occhi chiari e lo stupore delle persone per bene disse al bagarino che gli stava provando a vendere una nuova personalità, che lui era stato fascista e si vergognava per lui di quella ignobile offerta. Che padre mi ha dato la sorte.

Questa stessa ingenua onestà ci vorrebbe ancora adesso. Vero, il fascismo, ogni anno che passa, è sempre più un grande fatto da libri di storia, ma essere stati o non essere stati fascisti non è la stessa cosa; essere stati con le leggi razziali e deportati a Birchenau non è la stessa cosa; la destra e la sinistra non sono la stessa cosa; i vecchi partigiani l’olio di ricino lo bevevano – credo di malavoglia -, non lo davano loro da bere e non credo proprio sia la stessa cosa.

Se volete, se credete che aiuti, se fa piacere a quel galantuomo di Mattarella dite pure che il 25 Aprile è la festa di molti, ma non di tutti. Non ditelo, per carità.

Fabrizio Molina


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