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Cluster Munition Process, l’ultima tappa

by Redazione

Il prossimo 3 dicembre, a Oslo, si terrà la cerimonia di apertura alla firma della Convenzione di messa al bando delle munizioni cluster (CCM). L’appuntamento rappresenta la fase finale di un cammino diplomatico avviato nel 2007, il “Cluster Munition Process”, detto anche processo di Oslo – dalla città che ospitò la prima conferenza internazionale sull’argomento – le cui tappe precedenti sono state la Conferenza di Dublino, nel maggio 2008, durante la quale è stato raggiunto un accordo sul testo del Trattato, e la dichiarazione di Wellington, nel febbraio 2008, sottoscritta da 81 Paesi, tra cui l’Italia, che ha costituito una bozza del testo della Convenzione, riveduta e concordata successivamente in Irlanda.

Secondo il Trattato di Oslo, ogni Stato firmatario si impegna a non usare «in alcuna circostanza» le bombe a grappolo, né a produrle, acquistarle, conservarle o trasferirle a chiunque, direttamente o indirettamente. L’accordo internazionale, inoltre, vincola i Paesi firmatari a provvedere all’assistenza delle vittime e alla bonifica delle aree interessate e prevede la distruzione degli arsenali nel giro di otto anni.

Parallelamente, lo scorso settembre, 42 Stati africani si sono riuniti a Kampala, in Uganda, per promuovere la firma della Convenzione e nella Dichiarazione conclusiva, il Kampala Action Plan, i Governi partecipanti si sono impegnati in tal senso.
In Africa le bombe a grappolo rappresentano, infatti, un grave problema in quanto sono state utilizzate in diversi Paesi quali Angola, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Marocco (Sahara Occidentale), Sierra Leone, Sudan e Uganda causando drammatiche conseguenze.

Le cluster bomb sono costituite da un contenitore principale all’interno del quale ci sono centinaia di altri piccole bombe (da 10 a 300) che, al momento dello scoppio, vengono rilasciate in un raggio di diverse centinaia di metri. Tali armamenti, quindi, finiscono per rappresentare un serio pericolo per la popolazione civile, trasformandosi, di fatto, in mine anti-uomo, ma anche un grave ostacolo allo sviluppo economico dei paesi colpiti: le aree cosparse di munizioni a grappolo, infatti, non possono essere coltivate e l’accesso alle risorse idriche viene impedito.

Tra i maggiori produttori di cluster munitions vi sono: Stati Uniti – che possiedono tra i 700 e gli 800 milioni di tali ordigni – Russia, Israele, Cina, India e Pakistan che non hanno mai preso parte al “Processo di Oslo”.

Maria Carla Intrivici

(12 novembre 2008)


Cluster Munition Process, l’ultima tappa

by Redazione

Il prossimo 3 dicembre, a Oslo, si terrà la cerimonia di apertura alla firma della Convenzione di messa al bando delle munizioni cluster (CCM). L’appuntamento rappresenta la fase finale di un cammino diplomatico avviato nel 2007, il “Cluster Munition Process”, detto anche processo di Oslo – dalla città che ospitò la prima conferenza internazionale sull’argomento – le cui tappe precedenti sono state la Conferenza di Dublino, nel maggio 2008, durante la quale è stato raggiunto un accordo sul testo del Trattato, e la dichiarazione di Wellington, nel febbraio 2008, sottoscritta da 81 Paesi, tra cui l’Italia, che ha costituito una bozza del testo della Convenzione, riveduta e concordata successivamente in Irlanda.

Secondo il Trattato di Oslo, ogni Stato firmatario si impegna a non usare «in alcuna circostanza» le bombe a grappolo, né a produrle, acquistarle, conservarle o trasferirle a chiunque, direttamente o indirettamente. L’accordo internazionale, inoltre, vincola i Paesi firmatari a provvedere all’assistenza delle vittime e alla bonifica delle aree interessate e prevede la distruzione degli arsenali nel giro di otto anni.

Parallelamente, lo scorso settembre, 42 Stati africani si sono riuniti a Kampala, in Uganda, per promuovere la firma della Convenzione e nella Dichiarazione conclusiva, il Kampala Action Plan, i Governi partecipanti si sono impegnati in tal senso.
In Africa le bombe a grappolo rappresentano, infatti, un grave problema in quanto sono state utilizzate in diversi Paesi quali Angola, Ciad, Repubblica Democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Marocco (Sahara Occidentale), Sierra Leone, Sudan e Uganda causando drammatiche conseguenze.

Le cluster bomb sono costituite da un contenitore principale all’interno del quale ci sono centinaia di altri piccole bombe (da 10 a 300) che, al momento dello scoppio, vengono rilasciate in un raggio di diverse centinaia di metri. Tali armamenti, quindi, finiscono per rappresentare un serio pericolo per la popolazione civile, trasformandosi, di fatto, in mine anti-uomo, ma anche un grave ostacolo allo sviluppo economico dei paesi colpiti: le aree cosparse di munizioni a grappolo, infatti, non possono essere coltivate e l’accesso alle risorse idriche viene impedito.

Tra i maggiori produttori di cluster munitions vi sono: Stati Uniti – che possiedono tra i 700 e gli 800 milioni di tali ordigni – Russia, Israele, Cina, India e Pakistan che non hanno mai preso parte al “Processo di Oslo”.

Maria Carla Intrivici

(12 novembre 2008)


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