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Diario dall’Etiopia

by Redazione

Da qualche settimana è iniziato il nostro lavoro in Etiopia. Qui di seguito riporteremo di volta in volta una sorta di "Diario di Bordo" scritto e commentato dal nostro amico e collega Riccardo Netti, Responsabile della Casa di Laura, che conterrà le sensazioni, le emozioni ma anche gli aggiornamenti di questa avventura.


E’ l’alba, sono sull’aereo in fase di atterraggio a Mekelle’; mi sembra di aver sorvolato l’Antartide per più di un’ora su una distesa interminabile di nuvole bianche e compatte.
Mentre ci avviciniamo alla pista dell’aeroporto la luce del giorno ormai inoltrato, mi colpisce per la sua straordinaria luminosità. Tutto intorno appare un’immensa distesa di pianure coltivate; a tratti si scorgono numerosi covoni di paglia e piccoli gruppi di vacche isolate.
Un vecchio accovacciato ai bordi della pista, osserva immobile chissà che cosa mentre l’aereo rallentando lo sorpassa.
Un profumo di fiori e alternate folate di un vento che non infastidisce accolgono il mio breve percorso che conduce al gate.

(12 novembre 2007)

E’ l’alba, sono sull’aereo in fase di atterraggio a Mekelle’; mi sembra di aver sorvolato l’Antartide per più di un’ora su una distesa interminabile di nuvole bianche e compatte.
Mentre ci avviciniamo alla pista dell’aeroporto la luce del giorno ormai inoltrato, mi colpisce per la sua straordinaria luminosità. Tutto intorno appare un’immensa distesa di pianure coltivate; a tratti si scorgono numerosi covoni di paglia e piccoli gruppi di vacche isolate.
Un vecchio accovacciato ai bordi della pista, osserva immobile chissà che cosa mentre l’aereo rallentando lo sorpassa.
Un profumo di fiori e alternate folate di un vento che non infastidisce accolgono il mio breve percorso che conduce al gate.

“In qua dehan mezahrà”. Benvenuto in Quihà questo è quello che percepisco non dalle parole, ma dal breve primo incontro con gli amici dell’Ospedale Hewo.
Con la macchina carica di bagagli ci avviamo nella vicina struttura ospedaliera. L’accoglienza è davvero un evento: bambini, donne e uomini malati mi vengono incontro porgendomi dei fiori raccolti con le loro mani; questi fiori non sono un gesto esteriore, ma un profondo sentimento di
gratitudine e di rispetto. Ogni sorriso, ogni sguardo, ogni cenno con il capo stabiliscono un contatto che rimane dentro di me.

Buongiorno Quihà:  ti svegli al mattino e la luce del sole penetra in ogni dove; il silenzio continuo è rotto a tratti dal vento che impedisce di riconoscere il canto degli uccelli presenti in ogni momento del giorno. A volte  apri la finestra ed il cielo mostra delle nuvole minacciose, ma sai che non pioverà e che presto il sole tornerà presente nella gran parte della giornata. Qui le piogge sono concentrate nel periodo di luglio e agosto. Il sole ti riscalda, ma non ti infastidisce mai. Inizia un nuovo giorno e come di consueto mi incammino tra le strade sterrate di Quihà tra le case di pietra che colorano un ambiente povero e semplice.

Ormai lo so: basta contare fino a 10 e subito senti delle grida distanti di bambini che mi hanno avvistato: "Jon Jon" è la frase ricorrente. Jon significa caramella; per loro è quasi un rito, una consuetudine, sanno benissimo che non riceveranno nessuna caramella (sarebbe impossibile accontentare tutti) eppure ogni volta che mi vedono sembra sempre la prima. Per loro ho capito che è un divertimento chiederla; "faranji faranji" che significa occidentale, muso pallido, lo ripetono quasi cantando e saltellando, ridendo con un’allegria unica.
I bambini sono presenti in ogni angolo e sembra che rispettino a gruppi, delle zone ben delimitate: ti vengono incontro, ti chiedono la caramella, ti seguono per un breve tratto e ti salutano. Poi ne incontri altri e succede sempre la stessa identica cosa.

E’ gradevole incontrare bambini più grandi che vanno a scuola e che dimostrano tutta la loro dignità e tutto il loro piacere di vivere semplicemente un incontro. Ti affiancano, ti sorridono e sperimentano il loro inglese che è sicuramente meglio del mio. Mi chiedono il nome, l’età e che cosa faccio qui. Io gli rispondo e poi mi salutano allontanandosi.
Una volta un bambino mi ha solo sorriso, abbiamo percorso un breve tratto di strada insieme senza scambiare una parola; ma quando mi ha salutato ho avuto la sensazione di aver parlato a lungo con lui.
In un tratto di strada, che a volte sono costretto ad evitare, incontro sempre il solito bambino che sembra un giullare francescano: saltella, canticchia e mi viene incontro sudicio dalla testa ai piedi con un volto segnato e cosparso di mosche come spesso notiamo nei depliant divulgativi di organizzazioni missionarie; è difficile allontanarlo in quanto ricerca proprio un contatto fisico e come se mi abbracciasse le mani;  il suo sorriso sdentato con enormi orecchie a sventola è davvero unico.

Questa terra  è un luogo di camminatori, incontri sempre qualcuno nei luoghi più impensabili e più solitari. Le pianure che collegano Quihà a Mekellè sono immense e quando pensi che siano desolate, non è mai così. All’improvviso sbucano da un cespuglio o da una traversa, gruppi di bambini o donne che vanno o tornano, difficile stabilirlo. Il paesaggio è caratterizzato da una natura brulla, ma non per questo non viva.  Gli uomini, e soprattutto gli anziani che incontri, hanno sempre un aspetto silenzioso ed assorto; ma rispondono sempre con gentilezza al minimo cenno di saluto. Attraverso il mercato dove le donne sedute in terra attendono silenziose e tranquille che qualcuno acquisti il loro grano ed altre sementi; asini, pecore e capre stazionano ai bordi nel grande piazzale composti come se fossero interessati a quello che succede intorno.

Finalmente arrivo alla nostra casa, la casa per i bambini e puntualmente trovo o un vecchio, o una donna o un giovane che si soffermano a leggere o ad osservare la targa che abbiamo apposto all’esterno del  grande cancello laterale.

Mi accoglie il guardiano della casa che mi saluta sempre con estrema gentilezza quasi inchinandosi, ma merito veramente queste attenzioni. A volte cerco di pulire l’ufficio, di spostare qualche borsa o di raccogliere qualche pezzo di carta che ritrovo in giardino trasportato dal vento, ma non riesco mai a portare a termine la "missione"; il guardiano non mi fa fare nulla, non mi permette di occuparmi di certe mansioni. Allora entro in ufficio e comincio ad organizzarmi la giornata. Organizzare la giornata: è una cosa piacevole in quanto ti ritrovi immerso in un’atmosfera che non ti consente di vivere il tuo lavoro con ansia. Forse il ritmo della vita locale  ti aiuta a programmare meglio qualsiasi impegno.

"La casa di Laura": comincia ad avvicinarsi il momento della sua apertura per l’accoglienza.  Ogni giorno che passa prendo coscienza dell’importanza e delle gravi realtà inerenti la salute dei bambini. Qui i bambini in salute sono tanti, ma ci sono altrettanti bambini che hanno bisogno di cure mediche specialistiche e di essere seguiti nelle terapie stabilite dai medici. Purtroppo apprendo che i casi gravi di malnutrizione e HIV spesso  portano alla morte anche dopo 2 o 3 anni di cure. Ci sono ancora casi di Lebbra e numerosi casi di TBC o di polmoniti trascurate. A volte sembra che non ci sia una cultura dell’assistenza, ed io mi domando perché alcune madri abbandonino o trascurino il proprio figlio malato.
C’è molta povertà ma anche molta disinformazione: però sarebbe troppo semplicistico affermare in questo momento che le cause dei problemi siano solo queste. Sicuramente ci sarà molto da fare e credo che il nostro progetto abbia tutte le possibilità per diventare una realtà di riferimento, ma non sarà facile. C’è l’esigenza di costruire bene ma senza scelte avventate; bisogna ponderare molti rapporti e cercare di entrare nell’ambiente con le nostre forze, ma con il rispetto delle consuetudini e degli usi dalla vita locale.

Un medico che ho incontrato appena arrivato all’Hewo, un giorno mi ha detto che in questo posto lui sente che non gli manca niente. In un certo senso condivido, nel senso che acquisisci una calma interiore dove la semplicità e la povertà di questi luoghi rappresentano una vera ricchezza!

Ovviamente il pensiero per gli affetti rimane: verso i propri parenti, amici e colleghi di lavoro. Se dovessi domandarmi cosa mi manca in questo momento una parte di me, quella che deve guardare avanti, risponderebbe come il medico, ma in realtà c’è qualcosa che mi manca e che mi mancherà per sempre: La mia Laura.

Riccardo Netti

(12 novembre 2007)


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