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ED ERANO SOLO GLI INIZI!

by Redazione

di Claudio Movarelli

Una delle immagini dei primi periodi della vita associativa, che ricordo con maggiore piacere, e che secondo me rappresenta tanto della natura della nostra associazione, è quella di me e Fabrizio ad un convegno a Loreto, seduti accanto al premio Nobel per la Pace 1992 Rigoberta Menchù.

Oggi forse pochi ricordano questa grande pacifista guatemalteca, che si è battuta per i diritti dei braccianti agricoli del suo Paese, partendo dal lavoro di contadina che aveva svolto dall’età di cinque anni, fino ad arrivare a sedere in un importante commissione dell’ONU in materia di Diritti Umani.

L’aspetto di Rigoberta Menchù continuava ad essere quello di una bracciante agricola, ma quando cominciava a parlare usciva fuori tutta l’intelligenza e la forza morale che l’avevano portata ad essere insignita del Premio Nobel.

Come eravamo arrivati lì?

Mentre assistevamo al convegno, bastò uno sguardo scambiato tra me e Fabrizio per capire che, con la complicità dovuta alla lunga amicizia, stavamo pensando alla stessa cosa: come eravamo arrivati lì, partendo da quel quartiere della periferia romana in cui avevamo passato l’infanzia e l’adolescenza, partecipando contemporaneamente, senza trovarci alcuna contraddizione, a collettivi comunisti, gruppi scout, attività parrocchiali e zingarate notturne con gli amici?

Eppure, nel ricordo di oggi, quello era ed è il succo di tutto ciò in cui crediamo e la ragione fondante di Nessun Luogo È Lontano: permettere ad altri ragazzi nati nelle tante periferie del mondo e dell’anima di avere un’opportunità di crescita e di riscatto, come l’abbiamo avuta noi.

Certo, tanto hanno contato le nostre famiglie nell’educazione che abbiamo avuto, ma altrettanto hanno fatto i tanti educatori che abbiamo trovato nel percorso della nostra crescita. E non sempre si trattava di “educatori professionali” in senso tecnico, spesso erano quegli educatori di strada che, prima di noi, avevano orgogliosamente rifiutato di accettare come un paradigma l’equazione tra nascere in periferia e farsi trascinare sulle strade della devianza.

Spesso si trattava di personaggi che avrebbero trovato posto in uno dei film neorealisti sulla Roma del dopoguerra, caratterizzati da un grande cuore e da una spontaneità nei modi a volte imbarazzante, provenienti da famiglie povere e numerose, ma che avevano ben saldi alcuni principi fondanti, come l’onestà, la lealtà e l’amore per i deboli.

Don Mazzi, Scalabrini e il Festival dell’Unità

Un altro ultimo ricordo di quel periodo, lo voglio dedicare al primo spettacolo che abbiamo organizzato in occasione della beatificazione di Monsignor Scalabrini, nel popolare quartiere di Val Melaina/Tufello in cui siamo nati.

SI trattava di un concerto della Nuova Compagnia di Canto Popolare, che veniva intervallato da alcuni interventi di ospiti di peso, il più conosciuto dei quali era Don Mazzi, allora molto presente negli spettacoli televisivi.

All’inizio del concerto era scoppiato un incidente politico, perché avevamo scoperto che, nella strada sottostante la montagnola dove c’era il campo di calcio in cui si teneva il concerto, c’era uno spettacolo della Festa dell’Unità, che però aveva un sistema di amplificazione molto meno potente del nostro.

Per tutta le sera, quindi, ci toccò fare da mediatori tra i locali Peppone e Don Camillo, fino ad arrivare a portare Don Mazzi in macchina di corsa, per una breve comparsata alla Festa dell’Unità.

Ma leggendo al di là della comicità del fatto, anche in questo episodio si trovano tutti gli elementi della nostra formazione: l’apertura mentale che ti fa capire le ragioni dell’altro, la capacità di includere gli altri e non escludere, la difficile arte della mediazione, quella fantasia tutta italiana per la risoluzione dei problemi anche complessi e delicati.

E questi erano solo gli inizi!


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