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Firenze: la Conferenza nazionale dell’immigrazione

by Redazione

Alla conferenza nazionale dell’immigrazione, tenutasi a Firenze lo scorso week-end, si è ovviamente parlato di lavavetri e di sindaci-sceriffi, di coesione sociale e legalità, sicurezza, di necessarie riforme normative.

Nel corso dell’evento, gli amministratori locali, lamentando carenza di poteri e mezzi, hanno chiesto strumenti speciali per fronteggiare la criminalità e maggiori possibilità di azione; richiesta  tassativamente bocciata dal Ministro Ferrero secondo cui: «bastano le forze di polizia e le leggi esistenti» non ritenendo opportuno attribuire poteri eccezionali a chi deve essere eletto.
Meno rigida è la posizione del Ministro Amato che ha affermato: «chiuderci ai flussi migratori significa scegliere il declino demografico, culturale e politico, conservare la nostra identità senza aggiunzioni è scegliere una identità declinante», bisogna, quindi, attivare politiche di integrazione, innanzitutto politiche sulla casa.

Il messaggio che arriva è che il fenomeno dell’immigrazione deve essere governato senza pericolosi ideologismi e con politiche mirate e pragmatiche frutto di un necessario coordinamento tra governo, forze di polizia ed enti territoriali.

Ma la sensazione che prevale è comunque quella di uno scenario già visto e parole già dette.
Il dialogo tra istituzioni nazionali e locali, parti sociali e associazionismo è senz’altro imprescindibile, a patto, però, che non sia rituale, ristretto, impaurito.

Siamo consapevoli che un governo soddisfacente delle migrazioni non avverrà grazie ad una ricetta miracolosa, ma con la paziente tenacia nello spingere i limiti attuali sempre un po’ più in là. Bisogna pensare al fenomeno come ad un fatto complessivo, che va dalla politica estera a regole rispettate sulla cittadinanza, ma se ogni vaso non comunicherà con l’altro, sarà impossibile uscirne.
Gli strumenti di governance di cui disponiamo oggi sono sempre più inadeguati e invece di cercarli con forza e con determinazione adottarli, prevale l’arroccamento su miti impossibili come la sicurezza o l’accoglienza senza frontiere.

Forse dovremmo tutti fare meglio il nostro mestiere: la scuola, l’associazionismo, il sindacato, le istituzioni, la politica.
Provare a ragionare nell’ottica di un grande progetto di nuova convivenza, di nuove ingegnerie sociali: se non avremo il coraggio di questa opera ciclopica, spegneremo la luce ora sulla sicurezza, ora sull’integrazione, ora sui diritti. Ma la luce spenta sui diritti sarà come spegnere la luce sull’Europa che così metterebbe a rischio se stessa molto più delle migrazioni. La coscienza dei diritti è un’abitudine, se si perde, più nessun diritto è al sicuro, non solo quello dei migranti.

Quello che sembra occorra è una «rivoluzione copernicana» che innovi il dibattito, che stravolga l’arida visione del problema e generi nuove modalità di concepire ed agire sulla realtà.
La legalità e la sicurezza non sono concetti né di destra né di sinistra, la criminalità non è né autoctona né immigrata. L’immigrazione non può oscillare tra opposte posizioni di ottuso e improduttivo «buonismo» da una parte e deprecabili atteggiamenti di odio razziale e xenofobo dall’altra.
Bisogna abbandonare questa miope concezione del tema intrisa di controproducente  ideologismo o opportunistica propaganda.

Il dibattito deve essere riportato su un piano di sobrietà, evitando i sensazionalismi. Al contempo sono necessarie scelte politiche chiare e condivise in campo. Gli stranieri rappresentano una risorsa per l’economia e lo sviluppo della società, ma tale fenomeno va regolato, va governato. Quindi sicurezza, legalità senza creare diritti speciali, ma anche riconoscimento e tutela dei diritti. Politiche per la casa, certo, ma in una più ampia garanzia dei diritti fondamentali della persona quali il diritto di partecipazione e di rappresentanza, il diritto-dovere alla coesione sociale verso una effettiva società multiculturale.

(25 settembre 2007)


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