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Francia: nuove norme sull’immigrazione

by Redazione

La nuova legge francese sull’immigrazione, adottata nel novembre del 2007, si propone di leggere e governare il fenomeno migratorio secondo un’ottica differente rispetto al passato. Oggetto di rumorose polemiche e forti contestazioni, si pone come una legge restrittiva. La stessa Haute, l’Autorità della lotta contro le discriminazioni e per l’uguaglianza, ha definito le nuove disposizioni – in particolare il ricorso al test del Dna per il ricongiungimento familiare – «discriminatorie».

La riforma, però, presenta anche delle importanti aperture sul fronte dell’immigrazione economica, ammettendo la regolarizzazione ad personam.
Secondo una circolare dello scorso dicembre, le singole prefetture possono autorizzare l’accesso al territorio francese ai migranti che presentino un regolare contratto di lavoro a tempo determinato (per più di un anno) o indeterminato per una serie di professioni, possibilità che è stata estesa, successivamente, con una nuova circolare, anche agli irregolari presenti sul territorio francese.

Il fine della nuova normativa è chiaro: reintroduzione dell’immigrazione per lavoro – da oltre 30 anni non considerata in Francia – definita “immigrazione scelta” da contrapporre alla cosiddetta “immigrazione subita”, rappresentata da tutti gli stranieri soggiornanti nel Paese per motivi di “vita privata e familiare”, da scoraggiare con tutti i mezzi. Obiettivo caldeggiato da Sarkozy, già dai tempi in cui era ancora Ministero dell’Interno e perseguito dall’attuale Ministro dell’Immigrazione Brice Hortefeux. La mission è quella di aumentare l’immigrazione economica portandola dal 7% del totale, dato del presente, al 50%, in concomitanza alla riduzione di quella legata al ricongiungimento familiare. Lo strumento sarebbe l’introduzione di un sistema di quote.

In questa prospettiva, la riforma, per un verso, attraverso la regolarizzazione “caso per caso”, attribuisce elasticità al sistema, dall’altro, però, rischia di introdurre e attuare una logica tipica delle peggiori legislazioni in materia di immigrazione presenti in Europa, prima tra tutti in Italia: quella di ridurre lo straniero a mera forza lavoro, di annullarlo nella sua dimensione umana e di concepirlo esclusivamente come fattore lavoro di pochi costi e limitate pretese, di importante apporto economico per lo sviluppo economica della comunità, ma privo quasi del tutto del riconoscimento di importanti diritti.
Deprecabile «danno etico» che inevitabilmente si traduce in un pericoloso «danno politico». Il dare lavoro senza riconoscere cittadinanza, l’individuare il migrante solo come lavoratore e non come soggetto di diritti mette in pericolo l’equilibrio della comunità nel suo insieme. La dialettica «dello shopping delle intelligenze e delle braccia», ampiamente radicata in Europa, determina la frammentazione della società, svuota di significato l’idea di persona e priva della consapevolezza, della presa di coscienza dei propri e inviolabili diritti: si elude l’idea di accogliere uomini e donne, pretendendo di non riconoscere cittadinanza.

Nel frattempo Sarkozy parla della necessità di un patto europeo per l’immigrazione, come una delle priorità della Presidenza francese dell’Unione europea, che avrà inizio il primo luglio. E elogiando, poco scientemente, la legge Bossi-Fini, ribadisce il rifiuto a “regolarizzazioni di massa” e dell’importanza di intese tra i Paesi membri dell’Ue sul tema, in vista di una nuova politica in campo migratorio a livello europeo e nazionale.
Si delinea un nuovo scenario dove è evidente una rincorsa verso il basso, in cui aspirazione civica e senso di cittadinanza hanno sempre meno spazio.

Maria Carla Intrivici

(4 febbraio 2008)


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