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I giovani casseurs delle periferie francesi

by Redazione

Alle proteste e agli scontri di piazza contro la legge sul contratto di primo impiego (Cpe), che infiammano in questi giorni le piazze francesi, hanno preso parte anche i casseurs, tornati a manifestare il loro odio incendiando, distruggendo, derubando e devastando ogni cosa. Non tutti i giovani delle periferie hanno, però, partecipato alle manifestazioni, in quanto molti di essi ritengono la protesta estranea alle loro rivendicazioni, e, anzi, alcuni di loro si sono espressi favorevolmente alla riforma, vedendo il Cpe come un’opportunità, come un’alternativa alla disoccupazione. I casseurs criticano fortemente il movimento studentesco e nutrono rabbia nei confronti dei giovani che vivono al di là del périphérique ricchi, istruiti, ma soprattutto con molte più chance di loro, ragazzi che non li hanno sostenuti e non li sostengono nelle loro lotte per la richiesta di basilari misure sociali. La Francia, ma non solo questo Paese, risulta sempre più divisa in due diverse realtà: da una parte i giovani della classe media e dall’altra quelli delle banlieue su cui incombe inesorabilmente lo spettro della disoccupazione, della povertà e dell’emarginazione. Tutto questo è frutto dell’ormai sempre più diffuso fenomeno che Renzo Guolo chiama “periferizzazione delle periferie” di cui gli avvenimenti francesi, sia di questi giorni che del passato autunno, sono una chiara manifestazione. Le banlieue parigine sono dei “pezzi di non Stato”, quartieri in cui l’autorità non interviene, anzi si ritira, abbandonandoli alla violenza, al degrado, alla miseria, in un processo continuo e inarrestabile di esclusione. E i giovani che vivono in queste “zone di non città”, divenuti francesi, ma di origine straniera, non si accontentano più della semplice concessione della cittadinanza o di un riconoscimento formale dell’uguaglianza, ma rivendicano parità di accesso all’istruzione, eguali chance nel mondo lavorativo, impieghi meno precari e più remunerati, in altre parole la fine della loro ghettizzazione nel senso più ampio del termine. Si parla, quindi, di realtà colpite da una profonda emarginazione sociale alimentata sia dal mantenimento di identità etniche e tribali, dietro cui gli incendiaires si trincerano, ma anche e soprattutto dalla mancanza di politiche pubbliche capaci di promuove integrazione e mobilità sociale. In un processo inverso a quello in atto, lo Stato, per generare integrazione e inclusione sociale all’interno della comunità, dovrebbe, dunque, impegnarsi a promuovere riforme organiche e ad attuare politiche di sostegno volte da una parte ad eliminare le concrete disuguaglianze economiche e sociali che vanificano di fatto il riconoscimento formale dei diritti e dall’altra finalizzate a garantire pari opportunità di accesso.

(4 aprile 2006)


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