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immigrazione e diritti di cittadinanza

by Redazione

di: Giuseppe Casucci  Chistopher Hein  Fabrizio Molina

Ripensare il modello di cittadinanza, di società e di contratto sociale

Il dibattito sulla cittadinanza, sulla necessità cioè di costruire un nuovo quadro legislativo che tenga conto dei profondi mutamenti che stanno rendendo la nostra una società sempre più multietnica, ha ripreso in questi giorni vigore anche grazie alle forti opinioni espresse in materia dal Presidente Napolitano. E’ importante dunque cogliere lo stimolo che viene dalla Presidenza della Repubblica e riannodare quel filo di dialogo tra Parlamento e società civile di fatto interrotto da due anni. Per fare ciò sarebbe forse utile  spogliare il confronto sul tema dei diritti di cittadinanza dalle impostazioni ideologiche e guardare ai fatti: ai segnali che ci vengono da una società in rapido movimento, dalla realtà della crisi globale, nonché dai bisogni e dalle aspirazioni espresse dai nuovi come dai vecchi cittadini.

Gap demografico e prospettive future della società

Oggi in Italia vivono quasi cinque milioni di cittadini nati all’estero, pari a circa l’8% della popolazione complessiva e producono quasi l’11% del PIL. Come dire che,  senza gli stranieri, saremmo oggi 55.6 milioni di abitanti italiani e che il rapporto tra  stranieri  e di italiani è in effetti di 1 contro 11. A causa del gap demografico, in futuro le cose non sembrano destinate a cambiare: oggi il tasso di fecondità è pari a 2,4 figli per le donne straniere, contro 1,3 per quelle italiane. Senza i cittadini immigrati, dunque, saremmo destinati ad un rapido declino. Secondo uno studio del Ministero del Lavoro, il calo demografico tra il 2010 ed il 2020 sarà di almeno altri 1,7 milioni di cittadini il che porterebbe il rapporto stranieri italiani ad 1 contro 8.

 

Ripensare il modello di cittadinanza, di società e di contratto sociale

Il dibattito sulla cittadinanza, sulla necessità cioè di costruire un nuovo quadro legislativo che tenga conto dei profondi mutamenti che stanno rendendo la nostra una società sempre più multietnica, ha ripreso in questi giorni vigore anche grazie alle forti opinioni espresse in materia dal Presidente Napolitano. E’ importante dunque cogliere lo stimolo che viene dalla Presidenza della Repubblica e riannodare quel filo di dialogo tra Parlamento e società civile di fatto interrotto da due anni. Per fare ciò sarebbe forse utile  spogliare il confronto sul tema dei diritti di cittadinanza dalle impostazioni ideologiche e guardare ai fatti: ai segnali che ci vengono da una società in rapido movimento, dalla realtà della crisi globale, nonché dai bisogni e dalle aspirazioni espresse dai nuovi come dai vecchi cittadini.

Gap demografico e prospettive future della società

Oggi in Italia vivono quasi cinque milioni di cittadini nati all’estero, pari a circa l’8% della popolazione complessiva e producono quasi l’11% del PIL. Come dire che,  senza gli stranieri, saremmo oggi 55.6 milioni di abitanti italiani e che il rapporto tra  stranieri  e di italiani è in effetti di 1 contro 11. A causa del gap demografico, in futuro le cose non sembrano destinate a cambiare: oggi il tasso di fecondità è pari a 2,4 figli per le donne straniere, contro 1,3 per quelle italiane. Senza i cittadini immigrati, dunque, saremmo destinati ad un rapido declino. Secondo uno studio del Ministero del Lavoro, il calo demografico tra il 2010 ed il 2020 sarà di almeno altri 1,7 milioni di cittadini il che porterebbe il rapporto stranieri italiani ad 1 contro 8.  Secondo il Fondo sulle Popolazioni Mondiali (Nazioni Unite),  tra oggi ed il 2050, l’Europa perderà altri 103 milioni di abitanti, di cui forse 8 milioni di italiani. Infatti attualmente l’Italia registra la 3° età mediana più alta del mondo, dopo Giappone e Germania, (43 anni, contro i 15 del Niger o i 16,7 dell’Afghanistan). Non c’è dubbio che il futuro demografico e di sviluppo del nostro Paese dipenderà in gran parte dai flussi migratori e dai nuovi nati stranieri in Italia.
Nel 2010, in effetti,  sono nati circa 78 mila bambini stranieri, il 13,9% del totale dei nati nel Belpaese. In quanto ai minori stranieri, essi sono destinati ad un aumento percentuale notevolmente superiore al trend complessivo migratorio. Nel 2010 c’erano quasi un milione di minori stranieri, di cui oltre 650 mila nati in Italia. Nel 2020 le previsioni è che essi supereranno quota 1,5 milioni.

Leggi e modelli di società

Nel 1992 gli stranieri residenti registrati risultavano essere 537.062.   E’ l’anno in cui fatta divenne vigente la legge 91 sulla cittadinanza, una legge che necessariamente risentiva del minimo impatto sulla nostra società delle migrazioni. Oggi, con una presenza di stranieri residenti vicina all’8% della popolazione complessiva e di dieci volte superiore al 1992, la società italiana è certamente molto cambiata rispetto vent’anni fa. Da allora, cioè, è mutata la composizione e la qualità della società civile, oggi assai lontana da quella chiamata nel 1991 a sottoscrivere il contratto sociale. Da qui la necessità e l’urgenza  di riscrivere le regole di civile convivenza, basandosi su nuovi parametri e valori di riferimento. Non è possibile certo pensare ad un mero modello di assimilazione dei nuovi venuti offrendo un quadro di valori e regole scritte solo dagli italiani. Se il contratto va riscritto, questo deve poter avvenire con l’apporto di tutti gli attori interessati: di qui la necessità che il dibattito parlamentare riprenda e si avvalga di un confronto di merito anche con la società civile nel suo complesso, e con i suoi rappresentanti, italiani o non.

Riforma, eccesso di proposte

In Parlamento non mancano certo  le iniziative di legge.   Dall’inizio della XVI legislatura le proposte d’iniziativa parlamentare in materia di cittadinanza sono state ben 48: 15 sono quelle che la Commissione affari costituzionali della Camera ha preso in esame (confronto poi sospeso dal 20 luglio 2010). 14 proposte non sono state ancora assegnate, come i 18 disegni di legge al Senato. Sul tavolo c’è anche una proposta d’iniziativa popolare depositata in Cassazione. Futuro e Libertà per l’Italia, dal canto suo, ha rilanciato recentemente  la proposta “Sarubbi-Granata” limitata solo alla ‘corsia privilegiata’ per diventare cittadini italiani a chi nasce sul territorio nazionale.
Da ultimo, il 23 novembre scorso, il Sen. Ignazio Marino del PD ha depositato in Senato il disegno di legge “Modifiche della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di introduzione dello ius soli”, dispositivo  firmato da altri 112 senatori del blocco PD, IDV, UDC, API.  La proposta introdurrebbe lo  ius soli “secco”, permettendo di diventare subito italiani tutti i bambini nati in Italia, figli di genitori stranieri.
Dunque le proposte sono tante, segno del grandissimo interesse che questa materia suscita. Quello che è mancato purtroppo è il dialogo ed anche la volontà di trovare un punto d’incontro tra le diverse impostazioni politiche ed ideologiche.

Dobbiamo considerare che riforme così importanti, come quella sulla cittadinanza, riguardano le regole di civile convivenza della società presente e futura. E’ consigliabile, dunque, che non vengano approvate di forza da una maggioranza parlamentare risicata, anche perché correrebbero il rischio di essere cancellate da un futuro cambio di governo. Su un tema tanto fondamentale come il contratto sociale, meglio sarebbe trovare una larga maggioranza, anche se su contenuti mediati, piuttosto che rimanere fermi al 1992. E quali sono questi contenuti?

Idee da discutere


E’ stato fatto notare che con la cittadinanza italiana si acquisisce anche quella europea. Meglio dunque sarebbe una riforma più vicina nei contenuti a quelle realizzate in altri Paesi UE. In altre nazioni l’acquisizione della cittadinanza può avvenire immediatamente alla nascita, anche se con diverse condizioni richieste: ad esempio la riforma spagnola ha introdotto la possibilità di cittadinanza per i bambini figli di stranieri con almeno un anno di residenza in Spagna; mentre le  riforme greca e portoghese prevedono una residenza del genitore di almeno 5 anni; infine quella tedesca parla di almeno 8. Peraltro, nella gran parte degli Stati europei godono di un accesso privilegiato alla cittadinanza,  quei bambini nati sul territorio del Paese di immigrazione che abbiano accumulato un certo numero di anni di residenza o arrivati da piccoli nel Paese ospite, avendo poi completato un ciclo scolastico.
Questa corsia privilegiata per i minori, infatti,  riguarda quasi ovunque anche i bambini non nati nel paese di immigrazione, ma che ci sono arrivati da piccoli, purché vi abbiano studiato o vi siano vissuti per un certo periodo.
Un altro provvedimento che potrebbe de ideologizzare il dibattito sulla cittadinanza è una maggiore e più fluida fruizione del permesso di soggiorno di lungo periodo. E questo, non solo  perché l’ex carta di soggiorno concede agli immigrati regolari da più di cinque anni una parità di diritti quasi sostanziale con gli italiani, ma anche perché lo straniero in possesso di carta di soggiorno, viene liberato dall’oppressione burocratica del permesso di breve durata e dalle farraginosità e trappole della Bossi- Fini. Oggi forse la maggioranza di chi richiede la cittadinanza lo fa per sfuggire all’ordalia del rinnovo del permesso, non perché sia convinto di voler diventare italiano. Bisogna dunque mettere i cittadini stranieri in condizione di chiedere la cittadinanza italiana per convinzione e non per pura necessità.

Una ipotesi mediata, per quanto riguarda i bambini, potrebbe dunque ispirarsi all’esperienza europea e concedere la cittadinanza ai figli di immigrati presenti regolarmente da almeno 5 anni, che nascano in Italia o vi arrivino da piccoli. In alternativa, i minori che abbiano completato almeno un ciclo scolastico potrebbero comunque godere di un percorso privilegiato alla cittadinanza italiana. Per quanto riguarda gli adulti, sarebbe auspicabile un percorso più semplice per l’ottenimento della carta di soggiorno e la cittadinanza dovrebbe arrivare in tempi certi di residenza e con un percorso meno ad ostacoli,  a condizione che lo straniero si sia radicato nel nostro Paese e vi voglia far parte abbracciandone valori e regole.

Per quanto riguarda il diritto di voto amministrativo per i lungo – residenti, l’Italia ha già ratificato la Convenzione di Strasburgo, spostando solo temporalmente l’applicazione del capitolo C. Basterebbe, dunque, una legge ordinaria per permettere a chi risiede da un lustro nel nostro Paese, di poter  votare i propri amministratori pubblici locali: traguardo importante in quanto i partiti impareranno a mostrare maggiore attenzione e rispetto verso gli stranieri, solo quando anche loro avranno diritto di voto.

Noi non intendiamo, comunque, fare una proposta nuova con tempi e modi definiti di ottenimento dei diritti di cittadinanza. Il nostro obiettivo è quello di facilitare il confronto e soprattutto il buon senso tra tutte le parti politiche e sociali interessate, convinti che un nuovo contratto sociale sui diritti di cittadinanza premierà non solo gli stranieri, ma l’insieme della società italiana che cerca un approccio nuovo per rispondere alle side del presente e del futuro.

Giuseppe Casucci    Christopher Hein   Fabrizio Molina

 
 


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