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Intervento del presidente Molina al Decennale

by Redazione

Cari amici,
oggi siamo qui a festeggiare questi nostri primi dieci anni. Grazie per esservi fatti largo tra il traffico cittadino, le partenze per il week-end e la pizza tra pochi e buoni amici e aver accolto il nostro invito.
Quello di oggi per me non è un discorso come gli altri; oggi è un compleanno, e le poche cose che dirò sui nostri temi, saranno massimamente riguardose per le idee di tutti coloro che sono oggi qui e che ci sono amici.
Vi propongo di fare – idealmente – due passi insieme, in mezzo a ciò che abbiamo maturato in questi dieci anni, ma vi propongo una passeggiata breve e lieve, come è giusto che sia lieve una festa di compleanno, condotta un po’ anche sul filo del ricordo.
Siamo nati, come Nessun Luogo è Lontano, a settembre del 1998. Pochissimi soci fondatori, direi cinque o sei, alcuni dei quali sono ancora qui; tra questi io e Claudio Movarelli, il nostro Segretario generale, colui che per tutto mi è fratello meno che alla anagrafe. Lo ringrazio di tutto, per la sua trentennale amicizia, per avermi sopportato, per aver reso possibile che io potessi chiedere perdono per i miei peccati, sopportandolo. Scherzo ovviamente, ma è con lui che è nato tutto: lui ha reso possibile che io mi occupassi del superfluo, facendo funzionare il necessario. Nei momenti di sconforto abbiamo anche pensato ad un Pacs, ma abbiamo tutti e due due figli e si cambia di controvoglia.

Per la verità eravamo partiti l’anno prima, nel 1997, un po’ per caso: Padre Luigi Favero, allora Superiore Generale dei Missionari Scalabriniani, chiese ad alcuni suoi amici, tra i quali noi due, di aiutarlo a preparare le manifestazioni civili legate alla Beatificazione di Mons. G.B. Scalabrini, vescovo di Piacenza e Padre dei Migranti. Gli Scalabriniani per tutto il ‘900 hanno accompagnato l’epopea terribile e meravigliosa degli emigranti italiani, una eccezionale congregazione fondata da un uomo eccezionale. Il rapporto con Padre Luigi Favero era antichissimo ma per la prima volta ci trovavamo a lavorare insieme. Fu una esperienza meravigliosa che ci consentì di fare blocco unico con alcuni altri importanti sacerdoti della congregazione: fra tutti voglio citare Padre Beniamino Rossi. Ma prima che questa collaborazione tra laici e religiosi potesse rafforzarsi in un più diffuso consenso, padre Luigi morì. Era il 2000 e noi scoprimmo anche il sapore amaro che ha la storia di un decennio: fatta di cose davvero belle, di gente che arriva ma anche di gente che se ne và. In questi anni ne abbiamo avuto altre prove, con Fabio Trizzino, Gianfranco Ciarlantini che ci hanno lasciato ma che hanno reso questa associazione ciò che è oggi e che avremo sempre con noi.
Ma andiamo con rapido ordine: nel 1997 alcuni di noi lavorano a questa Beatificazione, e grazie ad essa scopriamo in noi uno straordinario interesse per le migrazioni. Nella primavera del ’97 ci viene in mente di creare un luogo estivo dove parlare di immigrazione che, in quegli anni, diventa sempre più “la” questione del mondo contemporaneo. Si apre così a Loreto il primo meeting sulla immigrazione. Una esperienza fantastica che ripeteremo per molti anni successivi, a Loreto e poi a Frascati.
A settembre 1998 si costituisce Nessun Luogo è Lontano. E’ l’anno della Turco-Napolitano a cui noi riconoscevamo molti meriti ma anche, oggettivamente, di non aver creato alcun aggancio con l’Europa; era difficile, ne convengo, ma non averlo creato ha esposto quella legge, come dicevamo noi, ad essere cambiata con troppa facilità.
Racconto questo episodio per dire che fin da subito ci mettemmo al lavoro su cose importanti. Ma il ’98 fu anche l’anno di Semina, il centro diurno per minori che aprimmo qui. Il primo. Per questo è un piacere festeggiare qui il decennale. Ha per noi un enorme valore simbolico.
E poi da allora non ci siamo mai fermati: Nell ha preso sempre posizione sui fatti legati all’immigrazione e lo ha fatto con coraggio, sempre avendo prima riflettuto e sempre, sempre nell’interesse generale, mai per quelli di parte. Dal ’98 è stato un susseguirsi di iniziative politiche: la Turco-Napolitano, come detto, poi i primi scontri sulla Bossi-Fini, le posizioni sull’assegno familiare non pagato a parte delle famiglie immigrate, il diritto di voto su cui più di tutto ci siamo spesi e continuiamo a spenderci.
Sul diritto di voto e sulle nostre battaglie per estendere quello amministrativo ai Municipi, secondo la convenzione di Strasburgo del 1992, mi soffermo solo un istante. Noi abbiamo sempre avuto la Costituzione come bussola e come timone. Dare diritto di voto a chi da cinque anni vive, lavora, si ammala, si cura, porta i figli a scuola, partorisce, paga le tasse, in questo Paese, non è un favore fatto ai migranti ma un progresso per il Paese. Essere italiani vuol dire imparare a sentire una storia, partecipare ad un destino comune, esercitare dei diritti e adempiere a dei doveri, arricchire il Paese, trasformandolo in meglio. Ancora non ci siamo riusciti ma oggi tutti, non solo noi e qualcun altro, da quarantotto ore sappiamo che tutto è possibile e tutto arriva se ci si impegna senza un attimo di tregua. In un’altra parte del mondo, i neri votano dal 1965, King è morto nel ’68, quaranta anni dopo è successo qualcosa che è enorme ma non sorprendente, perché è il frutto di un lavoro duro e continuo.
Sul piano dei servizi abbiamo aperto Semina nel ’98 ma da allora altri, diversi altri, ne sono nati: Aracataca, Peace, Bastogi, Gallicano nel Lazio, Monteporzio Catone. Quasi sempre con i minori. Perché del lavoro con i minori ci interessa soprattutto quella parte di buono che possiamo fare per aiutare le ragazze e i ragazzi nati italiani oppure no, ad essere concittadini responsabili domani. Adulti responsabili, critici. Adulti sono infatti i ragazzi, solo momentaneamente piccoli. E poi le campagne d’opinione e umanitarie: sul diritto di voto, contro l’infibulazione. Le campagne umanitarie: Il Piccolo Principe e oggi, lo avete sentito, La Casa di Laura.  Questa è l’assoluta sintesi di ciò che Nell ha fatto, ma io, almeno oggi, voglio dire ciò che Nessun Luogo è. Un gruppo di persone fantastico che abbiamo costruito tutti nel tempo. Capace di grandissimi sacrifici, capace di passione nella professionalità. Un gruppo di cui mi onoro di essere il presidente e che potrebbe ben figurare in moltissimi altri settori professionali: giuridico, economico, psico-pedagogico, della comunicazione. Persone che hanno deciso di fare di Nell la loro passione e il loro lavoro. E questo è un punto dolente sul quale non oggi voglio dilungarmi, ma che ci vedrà impegnati allo spasimo nei prossimi mesi: il riconoscimento giuridico effettivo da parte dello Stato e degli enti locali, dell’operatore sociale come un professionista con qualcosa in più, la passione. Oggi esso, retorica a parte, è considerato mano d’opera con qualcosa in meno. Questo è assai grave e non lo accettiamo.
La festa di questo decennale è festa di ciascuno di loro (mostratevi …). Ci sarebbero tante altre cose che con orgoglio e per orgoglio vorrei dire, ma non è il caso, il tempo corre. Farò alcune considerazioni finali che accenno senza approfondire.
Abbiamo sottotitolato questa festa “in direzione ostinata e contraria”, una frase di Fabrizio De Andrè, dalla cui scomparsa ricorrono dieci anni. Perché è in direzione ostinata che abbiamo sempre voluto guardare negli occhi gli spostamenti umani, fuori dalla retorica, dal buonismo, dalle ideologie. Ostinatamente abbiamo cercato e cerchiamo la realtà, quando ci piace perché collima con i nostri pre-giudizi, e quando non ci piace perché la realtà si incarica sempre di smontare i pregiudizi, anche quelli positivi. Questa ostinazione ci ha portato a volte ad una certa solitudine ma mai a sentirci isolati. Quando prendiamo una posizione critica soprattutto su iniziative dettate dalla narrazione di un mondo irreale e che conducono a iniziative farfallone come il consigliere aggiunto, sappiamo che rischiamo di restare soli e non ci fa piacere ma ci basta sapere che siamo nel giusto. In questi anni abbiamo stretto relazioni e collaborazioni che dieci, o anche cinque anni fa, non avremmo potuto neanche immaginare. Istituzioni, forze dell’impresa, sindacato, i tavoli dell’Unicef di cui siamo parte, come nel caso del Pidida per i diritti dell’infanzia, o quelli sul “pacchetto sicurezza”, associazioni di grande rappresentatività e storia nel sociale, cito per tutti con grandissimo affetto la Caritas e rivolgo un pensiero fraterno al suo fondatore Don Luigi Di Liegro e un grazie al suo direttore Don Guerino di Tora. La Caritas ha fatto per noi moltissimo. Credo e spero che abbiano apprezzato la caparbia (ostinata appunto) volontà di fare bene le cose che facciamo. Abbiamo sbagliato a volte? Certo che sì, molte volte. Ci consoliamo pensando che anche quando siamo insufficienti, anche quando siamo stupidi, lo siamo in proprio e mai conto terzi per compiacere alcuno. La direzione contraria invece non ce la siamo scelta, ci é capitata e non ci fa paura. Affrontare il nuovo, che è una costante dell’immigrazione corrisponde completamente alla disponibilità e lasciarci provocare dalla realtà e a guardarla per ciò che essa è e non per ciò che vorremmo che fosse.
Gli ultimi due cenni li riservo alla scuola e al tema dei temi per noi: la cittadinanza. Non è oggi, l’ho già detto, il giorno del confronto a cui peraltro, in tutti gli altri giorni, non ci sottraiamo mai. Ma una cosa devo dirla: la scuola è la costruzione del futuro dei giovani. La qualità di questa costruzione. E se noi mettiamo o togliamo mattoni ma prendiamo memoria di cosa stiamo costruendo, ne verrà qualcosa di informe che non è utile né a noi né ad altri. Don Milani scriveva grosso modo: “a chi fa una differenza tra stranieri e italiani, io dico che l’unica differenza che conosco è quella tra oppressori e oppressi; gli oppressi sono il mio popolo, gli oppressori sono gli stranieri”.
Le classi ponte, carezzevole aggettivo che copre “differenziali” non è una scelta razzista, xenofoba, fascista. E’ peggio: è una scelta sbagliata, perché congiura contro gli italiani di domani. E così siamo arrivati all’ultimo pensiero: siamo nelle 48 ore successive alla elezione di Barack Obama alla Casa Bianca. Quarantatré anni dopo, il sogno di Luther King si avvera. Io da un sacco di tempo non mi emozionavo così tanto per un fatto politico. Mi sono emozionato per la carica simbolica che esso ha. E perché con esso anche chi vuol chiudere gli occhi non può non capire che il mondo procede malgrado tutte le difficoltà verso il suo destino, cercando di renderlo migliore. Noi non sappiamo cosa ci sia riservato, anche se io trovo insopportabili i profeti di sventura. Solo cinque anni fa, nei nostri convegni dicevamo che magari uno dei ragazzi dei nostri Centri sarebbe potuto essere un giorno sindaco di questa città. Lo dicevamo ma la vedevamo una prospettiva lontana. Io non farò delle facili analogie, vorrei solo dirvi ciò che credo: credo che se il figlio di un pastore di capre keniota e di una donna americana dell’Arkansas, diviene Presidente degli Stati Uniti, vuol dire che la storia come nella canzone di De Gregari, “davvero non si ferma davanti a un portone, la storia entra dentro le stanze, le brucia, la storia dà torto e dà ragione”.
Quindi grazie per essere qui oggi, grazie della forza che, senza accorgevene, ci date.
E’ un periodo duro ma noi siamo qui per farcela, perché sentiamo che un pezzetto del comune destino è nelle mani di ciascuno di noi.

(12 novembre 2008)

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