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L’Istat traccia il profilo del Non Profit: dati positivi. Ma riflettiamo sulla grande mortalità

by Redazione

Non solo numeri. L’Istat mercoledì 16 aprile ha presentato “Il profilo delle istituzioni Non Profit raccolte con il censimento del 2011”, e si sono sentiti giudizi e pareri interessanti e soddisfacenti. E’ un mondo che cresce, positivo, che consente ancora alla società italiana di reggere. Per il Ministro Poletti (Welfare e Lavoro), l’idea che il Terzo settore sia lì a rimediare agli errori e le inefficienze dello Stato da una parte e del Mercato dall’altra sia una stupidaggine. E’ un’idea riparatoria che va cambiata e rifondata su una invece costituente e rifondativa, una diversa idea di economia capace di interpretare la complessità. La società – ha detto – non è la somma dei singoli individui, ma bisogna costituire le infrastrutture per consentire l’evidente voglia di protagonismo dei cittadini. E – giura – su questa strada si sta indirizzando il governo-Renzi.

Sì, perché è di tutta evidenza che gli enti del Non Profit (o Terzo settore che dir si voglia, ma la chiarezza non appare ancora una dote disponibile in questo campo…) sono in crescita. Si presentano dati di tutto rispetto. Leggiamo: “Al 31 dicembre 2011 le organizzazioni non profit attive in Italia sono 301.191, il 28% in più rispetto al 2001 (anno dell’ultima rilevazione censuaria sul settore), con una crescita del personale dipendente pari al 39,4%. La parte più “imprenditoriale” del non profit, quella relativa alle istituzioni con addetti, ha registrato un aumento più contenuto, ma ampiamente positivo (+9,5%). Le unità locali delle istituzioni non profit sono 347.602 (+37,3% sul 2001).” Inoltre: “Il settore non profit conta sul contributo lavorativo di 4,7 milioni di volontari, 681 mila dipendenti, 270 mila lavoratori esterni, 5 mila lavoratori temporanei.” Una piccola sintesi che può esser approfondita leggendo sul sito Istat il Rapporto.

Eppure una nota negativa si è rilevata: in questi anni c’è stato un alto turn-over di istituzioni, ossia un numero alto nel rapporto tra quelle “scomparse” e quello delle nuove (o se non altro emerse perché non erano state intercettate nel censimento del 2011). In altre parole: molte hanno vita breve. Sopravvivere per molti enti in questi anni si è fatto sempre più difficile, la scarsità di risorse e le difficoltà burocratiche hanno spinto molte a chiudere. E si dovrebbe anche vedere cosa è accaduto negli anni più difficili post-censimento…

Solo le grandi (definite “storiche”) hanno così potuto consentirsi un aumento (o quanto meno una stabilizzazione) del personale impiegato (in senso ampio, sia volontari che addetti con le diverse formule di contratto). Qualcuno potrebbe dire che non c’è nulla di male, che anche qui va la legge del mercato. Ma a rifletterci bene la crisi, che è in questo caso è anche di scelte politiche ad hoc e di sostegno pieno sempre più latente da parte delle istituzioni pubbliche, evidenzia quella ipocrisia di cui si è anche parlato: a parole si fanno gli elogi del Terzo settore, ma poi, nelle pratiche concrete, si fa di tutto per tagliargli le gambe.

Per questo le parole di Stefano Zamagni, il professore di Economia da sempre impegnato a diffondere il valore della cosiddetta Economia sociale e soprattutto primo ed unico presidente dell’Agenzia delle Onlus soppressa dal governo Monti nel febbraio del 2012, sono state dure: è stato uno dei più grandi errori che il governo abbia potuto fare. Intanto perché ha lanciato un messaggio negativo a questo fronte. Aveva un forte valore simbolico e costava solo 1 milione di euro allo stato. Quindi quale è il risparmio che si è ottenuto?

Ma se dovesse essere ripresa – cosa che si auspica – occorre rifondarla su tre principi ineludibili: deve essere una parte terza sia rispetto alla PA che ai soggetti del Non Profit; deve avere poteri per dirimere le controversie tra soggetti interessati (che sono sempre di più e cruenti, spesso la classica guerra tra poveri…); e deve avere poteri di ispezione che la vecchia non aveva; con poteri sanzionatori amministrativi contro i furbetti che ci marciano.

Già i furbi, che proprio non mancano in questo settore. Da qualche mese qualcuno sta cercando di (almeno) imporre una sana discussione per fare chiarezza: cosa è veramente Non profit e cosa invece si nasconde (pur facendo attività varie che con il volontariato, la solidarietà, l’advocacy e così via non c’entrano niente) per ottenere vantaggi fiscali e di contrattualizzazione della forza lavoro. Su tutti si veda il libro di Giovanni Moro “Contro il non profit”, ed. Laterza. E’ una discussione sacrosanta, che, forse, fa correre il rischio di – come si suol dire – “buttare l’acqua sporca con il bambino”. Ma ormai, molti di noi sanno quanta acqua sporca sta passando sotto i ponti. A tutto detrimento di chi fa sul serio attività di volontariato e di solidarietà. Senza ricavarne – appunto – alcun profitto personale.

(V.S.)

 


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