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Popolazioni nomadi tra accoglienza e legalità

by Redazione

Gli incendi che hanno recentemente devastato il campo di via Triboniano, alla periferia nord di Milano, quello di Opera, nell’hinterland milanese, quello di Orta di Atella, nel casertano e, un mese fa, quello di Villa dei Gordiani, a Roma, hanno fatto divampare nuovamente la polemica sulla problematica gestione dei campi di sosta e in generale sulla presenza nel nostro territorio delle comunità nomadi.
In Italia risiedono oggi tra i 100 e 120mila nomadi, il 30% di origine romena. Numeri approssimativi che sembrano, comunque, destinati a crescere nel tempo, anche in seguito al processo di allargamento europeo.
Popolazioni quelle nomadi – rom, sinti e le altre comunità – che vivono tra campi autorizzati e abusivi. Le “baraccopoli”, le “plasticopoli”, come vengono definiti questi ultimi, privi di elettricità e servizi igienici, tra rifiuti e miseria. Agglomerati lontani qualche chilometro dai centri urbani in cui trovano rifugio non solo i nomadi, ma anche le altre categorie più deboli, povere, emarginate.
L’alto indice di delinquenza, unito a bassa scolarizzazione e profondo degrado rendono i campi di sosta realtà difficili, in cui la povertà non è solo economica, ma anche sociale, culturale, di educazione. E la gestione di queste aree rappresenta una delicata questione non solo in termini di accoglienza e coesione sociale, ma anche di ordine pubblico, sicurezza, legalità.
Problemi, inoltre, che alimentano la crescente ostilità dell’opinione pubblica verso queste popolazioni in un sentimento frammisto di rifiuto e paura che si traduce sempre più spesso in atteggiamenti di esclusione, disprezzo, razzismo.
Una realtà, quindi, che necessita di una immediata risposta a più livelli, ma soprattutto di una politica che, superando azioni emergenziali e di tamponamento – come è stato finora –, governi il fenomeno in modo razionale attraverso interventi mirati in diversi settori, creando da una parte integrazione, assistenza e dall’altra il ripristino della legalità.
A tal fine sembrerebbe opportuno favorire la realizzazione di un’azione concertata e permanente tra istituzioni, forze dell’ordine e mondo associativo, parallelamente ad iniziative volte a promuovere un maggiore dialogo con le comunità nomadi, in particolare con i capifamiglia, per giungere a decisioni condivise, frutto di una reale analisi dei bisogni, oltre che per innescare necessari processi di “responsabilizzazione” dei nomadi stessi.
Ma occorre anche ovviare a politiche insediative carenti, se non assenti, per evitare la creazione di ghetti o il proliferare di campi abusivi e questo insieme all’attuazione di politiche di coesione sociale tali da permettere un inserimento dei rom, dei sinti e delle altre comunità  nelle più vaste realtà abitative al di là della creazione dei campi stessi. Bisognerebbe, quindi, procedere all’elaborazione di leggi regionali sull’argomento, laddove non esistano, e ad una sostanziale attuazione di esse dove sono già presenti per una più chiara disciplina dei criteri di vivibilità dei campi da una parte e una effettiva tutela di antiche tradizioni dall’altra.  Fondamentale appare, altresì, puntare sulle politiche scolastiche, essendo la scuola uno dei principali soggetti formativi, di trasmissione ed educazione ad imprescindibili valori, ma anche uno dei principali veicoli di coesione sociale e integrazione per la realizzazione di proficui processi di “socializzazione”, e ciò unitamente alla necessaria predisposizioni di maggiori e più efficaci strumenti di partecipazione dei nomadi alla comunità cittadina per un reale coinvolgimento e una più intensa partecipazione a livello sociale e politico di essi.

Maria Carla Intrivici

(15 gennaio 2007)


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