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Poste, la burocrazia che discrimina: niente social card agli stranieri

by Redazione

(da Redattore sociale). E’ solo una questione di burocrazia? Incapacità di adeguare i modelli alle nuove richieste? Vera e propria discriminazione? Fatto sta che a più di un mese e mezzo dall’apertura agli stranieri della vecchia social card (la carta acquisti tradizionale, da 40 euro al mese) e dal suo rifinanziamento con 250 milioni previsti dall’ultima legge di stabilità, chi non si ha la cittadinanza italiana se la può scordare. Motivi? Negli uffici postali, sul sito di Poste italiane e persino su quello del ministero dell’Economia e delle Finanze, della novità del 2014 non c’è traccia. La carta acquisti ordinaria, ad oggi, la possono chiedere soltanto gli italiani. A denunciare l’intoppo burocratico all’italiana, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) che nei prossimi giorni presenterà due ricorsi presso i Tribunali di Brescia e Bergamo per tre distinte vicende.

La questione, in parte, era stata già sollevata a metà gennaio, ma ad oggi non è ancora cambiato nulla. Primo intoppo quello delle Poste italiane, a cui è stato affidato il compito di raccogliere le domande. Sebbene la legge di stabilità abbia esteso la possibilità di richiedere la vecchia social card, “anche ai cittadini di Stati membri dell’Unione europea ovvero familiari di cittadini italiani o di Stati membri dell’Unione europea non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero stranieri in possesso di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo”, negli uffici postali è ancora impossibile inoltrare la domanda. Agli sportelli, infatti, i moduli non sono ancora aggiornati. “Hanno un modulo che riporta ancora il requisito della cittadinanza italiana – spiega l’avvocato dell’Asgi, Alberto Guariso -. Quando registrano la domanda, non riescono ad inserire cittadinanze diverse da quella italiana. Nel campo previsto sul modulo i valori ammessi sono soltanto “I”, “It” o “Ita”. Problema che in tutti i casi si risolve (?) con il rigetto della domanda: senza se e senza ma.

Siti web istituzionali non aggiornati. Per non parlare delle schede informative sulla carta acquisti presenti sui siti istituzionali che dovrebbero riportare informazioni sempre aggiornate sui diritti dei cittadini. Fino a qualche tempo fa, nessun sito tra quelli dell’Inps, il ministero dell’Economia e delle Finanze e quello delle Poste italiane aveva aggiornato i requisiti secondo quanto stabilito dalla legge di stabilità 2014. Dopo la protesta dell’Asgi, solo l’Inps ha aggiornato la scheda. Nel sito web del Mef e in quello delle Poste italiane, ad un mese e mezzo dall’introduzione della nuova norma, tutto è ancora come l’anno scorso. “Abbiamo scritto una lettera e l’Inps ha corretto le informazioni riguardanti la carta acquisti ordinaria – racconta Guariso -, mentre quello del Mef ancora no, nonostante sia il primo tra i risultati dei motori di ricerca se si cerca social card. E lì, tra le informazioni, è riportato ancora il requisito della cittadinanza italiana”.

Per l’Inps, però, i problemi non sono finiti. L’Asgi presenterà ricorso al Tribunale di Brescia per due rifugiati che hanno fatto richiesta della carta acquisti. In questo caso, ad aver dimenticato qualcuno non è l’Inps ma il Parlamento stesso che, nell’estensione della carta agli stranieri, non ha inserito rifugiati e titolari di protezione sussidiaria. “Nella legge di stabilità sono state comprese le categorie protette dal diritto comunitario, ma non hanno inserito i rifugiati – aggiunge Guariso -. Per questo presenteremo un ricorso affinché l’Inps emani una circolare come quella fatta in altre occasioni analoghe come per l’assegno per il terzo figlio. L’hanno capito anche per il pubblico impiego. In questo caso spero avvenga lo stesso”. Per applicare la direttiva europea, aggiunge Guariso, “non c’è bisogno di cambiare la legge, basta un atto amministrativo”. In tema di direttive europee, il ritardo italiano è cronico. Lo scorso 25 dicembre, infatti, è scaduto il termine per il recepimento della direttiva 98 del 2011 che “introduce la parità di trattamento a tutti coloro che entrano in Europa per ragione di lavoro o con un permesso di soggiorno che consente di lavorare – spiega Guariso -. Vuol dire che praticamente tutti hanno diritto a parità di trattamento. Ora speriamo di non dover ripartire con le cause”.

 


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