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Prodi: il velo islamico una questione di buon senso

by Redazione

«Se vuoi indossare il velo va bene, ma deve essere possibile vederti» con questo appello rivolto alle donne musulmana il Presidente del Consiglio interviene  sul vivace e complesso dibattito in corso in Europa su immigrazione e integrazione e in particolare sull’uso del velo islamico. Polemica che divampa in diversi Paesi europei come in Francia dove è stato imposto il divieto di indossarlo o in Gran Bretagna il cui l’ex ministro degli esteri Straw, si è detto favorevole alla proibizione del velo in quanto «elemento visibile di separazione e differenza», parole definite sensate da Blair. Prodi – chiarisce – non intende impedire alle islamiche presenti in Italia il rispetto delle loro tradizioni, ma fa piuttosto appello al «buon senso»: «è sbagliato coprire il volto – riferendosi al niqab, al velo integrale – che deve essere sempre visibile e credo che questo sia un sentire comune, importante per la nostra società». Si tratta, quindi, di integrazione, di dialogo, oltre che di motivi di sicurezza e di ordine pubblico.

Quella del velo è indubbiamente un diatriba annosa e spinosa.

Oggetto di interpretazioni contrastanti, il velo più che un simbolo religioso sembra essere espressione di influenze e tradizioni, imputabile più a scelte ideologiche che religiose appunto. Strumento di controllo sociale e sessuale, soprattutto dall’ingresso della donna in società durante il processo di decolonizzazione, è stato espressione e simbolo di tradizioni e mentalità maschiliste e conservatrici che hanno relegato la donna islamica in una condizione subalterna rispetto all’uomo, negandole i diritti fondamentali. Atto imposto soprattutto quando si è minacciati dalle novità in ambito familiare e nella sfera della sessualità, il velo, in particolare quello integrale, nega la parità tra uomo e donna e condanna quest’ultima all’invisibilità.

Inoltre va evidenziato che con l’acuirsi dei contrasti tra Occidente e Islam, ma anche all’interno dei Paesi islamici tra governi e opposizione islamica, il velo ha assunto una valenza politica. È, infatti, divenuto emblema dell’Islam più radicale ed estremista, fondamentalismo contro cui i regimi islamici più democratici lottano e che in Occidente viene individuato come il “peggior nemico”. Di qui l’adozione da parte di questi Stati di politiche che proibiscono l’uso del velo come in Tunisia o che lo scoraggiano come in Marocco e la centralità che la questione ha assunto in Occidente.

Il velo islamico provoca polemiche e incute timore, è certo. A volte è un’imposizione che si traduce in violenza psicologica, se non fisica, altre volte è frutto di una libera scelta, un voler aggrapparsi ai propri simboli attraverso cui far passare ed affermare la propria identità, soprattutto quando si è lontani dal Paese di origine, può rappresentare l’esigenza di essere accettati nella propria specificità, anche questo va considerato.

Per noi il velo è, invece, un atto di libertà negata, un’imposizione più o meno consapevole, è vero e probabilmente logico.

Ma in uno Stato laico e democratico la pacifica convivenza deve coniugarsi con il rispetto della pluralità religiosa e culturale, ovviamente se si escludono forme estreme, quali possono essere niqab o il burqa, che mal si conciliano con i valori fondanti della nostra società, tra cui la parità tra uomo e donna. Si è, quindi, in linea con l’idea di una necessaria e possibile convivenza tra la fedeltà alle proprie radici e i valori del contesto culturale in cui si vive.

Maria Carla Intrivici

(20 ottobre 2006)


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