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Sommerso e immigrazione: una necessaria riforma del mercato del lavoro

by Redazione

Nel mercato del lavoro italiano la quota di lavoratori migranti che confluisce nel sommerso è indubbiamente consistente. I dati parlano chiaro: nel 2004 i lavoratori stranieri nel sommerso erano 5.912, nel 2005 5.810 e nei primi 8 mesi del 2006 sono già a 4.063 (dati Guardia di Finanza 2006). Manodopera clandestina presente in tutti i settori dell’economia italiana: dall’agricoltura, dove si è ripresentato il fenomeno del caporalato, all’edilizia, dal tessile ai servizi. Gli stranieri clandestini e irregolari, in condizioni oggettive di forte disagio economico e sociale, sono, infatti, portati a svolgere attività lavorative non regolate da alcuna fattispecie contrattuale e la possibilità di pagare in nero, senza il riconoscimento di alcuna garanzia e diritti da parte di datori di lavoro privi di scrupoli, rende questa categoria “terreno fertile” per il lavoro nero. D’altro canto, in un nocivo circolo vizioso, il sommerso è condizione favorevole che consente, incoraggia e moltiplica l’immigrazione illegale in quanto i migranti, attirati da una sicura attività lavorativa, seppure in condizioni di sfruttamento, arrivano in massa nel nostro Paese.

L’elevato tasso di irregolarità si traduce, poi, inevitabilmente, in una situazione di precarietà e di carenza di tutela dei diritti assistenziali e previdenziali dei lavoratori stranieri, oltre a determinare il verificarsi di un fenomeno di concorrenza sleale, con una conseguente distorsione delle regole del mercato del lavoro e il proliferare di nuove forme di marginalità sociale.

Situazione insostenibile, quindi, che pone come imprescindibile e impellente un’azione volta a far emergere il lavoro sommerso.

Ed è in tal senso che si muovono le ultime –  in termini cronologici – iniziative del Governo.
L’idea è quella di prevedere un permesso di soggiorno-premio per i lavoratori stranieri che denunciano il rapporto di lavoro in nero. Provvedimento questo, però, che ha creato non poche polemiche tra il Ministro della solidarietà sociale Ferrero, sostenitore del rilascio del permesso di soggiorno in presenza di una semplice autodenuncia da parte del lavoratore irregolare, e il Ministro dell’Interno Amato, contrario a tali modalità di attuazione. Il responsabile del Viminale ha, infatti, bocciato l’ipotesi del collega di Governo spiegando che «misure  premiali» per lavoratori irregolari che si autodenunciano finirebbero con l’essere un incentivo per la criminalità organizzata oltre al fatto che si tradurrebbero in una sanatoria automatica. In sostanza la denuncia del mero reato di “irregolarità” non è sufficiente per Amato, ma è necessario un concreto contributo «a far cessare e punire» determinati tipi di reato. E in vista di ciò vanno individuati i comportamenti penalmente rilevanti degli imprenditori come la violenza, lo sfruttamento continuato, la spoliazione del salario. Un intervento specifico, quindi, e non di massa per punire i datori di lavoro nei casi più gravi senza alimentare una sfrenata e ingovernabile rincorsa alla delazione, che provocherebbe effetti deleteri più che benefici.

Un’azione coordinata volta a fare emergere il lavoro sommerso per condurlo nel circuito della legalità è, comunque, doverosa e improcrastinabile sia per un’effettiva salvaguardia dei diritti del lavoratore che per l’eliminazione del fenomeno di concorrenza sleale. E misure come quella indicata possono presentarsi opportune nell’ambito, però, di un più ampio quadro di normative di riforma che contempli criteri di flessibilità, al fine di garantire maggiori opportunità lavorative e un più facile accesso al mondo del lavoro, e che assicuri, al contempo, garanzie per evitare si degeneri in patologiche forme di precariato.

Maria Carla Intrivici

(13 ottobre 2006)


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