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Summit Cina ? Africa, partnership e leadership nello scenario internazionale

by Redazione

Con una dichiarazione che proclama la nascita di “una nuova partnership strategica” si è concluso – il 5 novembre – il terzo Forum per la cooperazione Cina-Africa a cui hanno partecipato 48 su 53 stati africani.
Secondo i dati del governo cinese alla fine del 2006 gli scambi commerciali tra Cina e Africa toccheranno la cifra complessiva di 50 miliardi di dollari, più sei miliardi di dollari in investimenti diretti.
Gli accordi conclusi prevedono cinque miliardi di dollari di crediti entro tre anni, cancellazione dei debiti contratti, raddoppio dell’interscambio commerciale, azzeramento delle tariffe doganali su 440 prodotti africani, apertura di almeno tre zone di cooperazione speciale nell’Africa sub-sahariana, decine di programmi di aiuti per la formazione professionale e la costruzione di infrastrutture pubbliche.

Negli ultimi 50 anni, sulle orme dell’Egitto – primo Paese africano a stabilire relazioni diplomatiche con Pechino – la cooperazione sino-africana si è sviluppata notevolmente in vari campi politico-economici e culturali. Nell’ottobre 2000 si svolge la prima conferenza ministeriale del Forum (FOCAC), proposta dall’allora presidente cinese Jiang Zemin ai leader dei Paesi africani che avevano rapporti diplomatici con la Cina e all’allora segretario generale dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) Salim Ahmed Salim.

L’Africa rappresenta da una parte un facile mercato da penetrare per i prodotti a basso costo del gigante orientale ed è una fonte ricchissima di materie prime fondamentali per la sua continua e vertiginosa crescita economica.
In effetti il Celeste impero è diventato l’acquirente privilegiato delle risorse naturali africane: è la terza acquirente del petrolio del Gabon, assorbe il 25% dell’oro nero angolano e quasi la metà di quello sudanese.
In cambio della non ingerenza reciproca negli affari interni conclude accordi commerciali, finanzia infrastrutture, offre tecnologia e allo stesso tempo invia missioni di pace e personale sanitario, oltre a vendere armi. Per questo motivo Pechino esclude, tra i suoi partner, cinque Paesi africani che hanno rapporti con il governo nemico di Taiwan: Burkina Faso, Swaziland, Malawi, Gambia, Sao Tomè e Principe. Ha rapporti stretti con Paesi banditi dalla Comunità internazionale come il Sudan e lo Zimbawe, non preoccupandosi del rispetto dei diritti umani, il buon governo, l’impatto ambientale.

Nuovi scenari geopolitici si delineano, la Cina insieme all’India si afferma come attore di primo piano nelle relazioni internazionali. Un Paese dalle molteplici contraddizioni, tra i pochi Paesi in cui è diminuito il numero di poveri (FAO 2006) e che – secondo gli ultimi dati OCSE – è tra i primi posti nella classifica dei Paesi d’origine dei flussi migratori verso i Paesi industrializzati, insieme ai Paesi dell’est europeo (Russia e Ucraina in testa) e dell’America del Sud.

Il gigante orientale è tra i principali protagonisti del nuovo mondo globalizzato, non solo con la diffusione dei suoi prodotti ma – secondo gli ultimi dati  disponibili – anche con una collettività di 34 milioni di persone all’estero, più di 60 milioni se si prendono in considerazione i migranti da Taiwan: 23 milioni, Hong Kong: 7 milioni e Macao: mezzo milione
Nel 2005 la popolazione mondiale che vive fuori dal proprio Paese d’origine ha raggiunto la cifra di 191 milioni di persone, il 3% della popolazione mondiale, per lo più in Europa (64 milioni), Asia (53 milioni) e Nord America (45 milioni). E se è nei Paesi industrializzati che si conta il maggior numero di immigrati (115 milioni), ormai i flussi dal sud al nord del mondo crescono di pari passo con quelli sud-sud (ONU 2006). Più di 20 milioni sono i cinesi nei Paesi asiatici, il 54,9% del totale dei migranti sono in Indonesia, Tailandia e Malesia. In Africa 136.865.

Di fronte alla politica delle istituzioni finanziarie internazionali che richiedono condizioni onerose ai Paesi africani, Pechino offre una sponda politica e un sostegno economico-finanziario, fermo restando il principio della “non ingerenza”. Quando la Nigeria, l’Angola hanno chiesto aiuto e i paesi occidentali o le istituzioni internazionali hanno esitato o posto condizioni, la Cina si è offerta in cambio di approvvigionamenti di risorse naturali.

Gli stati europei non possono impartire lezioni contro forme di colonialismo mascherato, il sostegno al multilateralismo e al rafforzamento delle Nazioni Unite trasuda dai documenti dell’UE come dalla dichiarazione di questo summit. Le relazioni economiche dei Paesi europei dovrebbero basarsi effettivamente su i principi stabiliti dall’UE con i Paesi in via di sviluppo (Accordo di Cotonou con i Paesi ACP): dialogo politico permanente, partecipazione della società civile, riduzione della povertà, un nuovo quadro commerciale, una riforma della cooperazione finanziaria.

In un mondo dove quasi 2 milioni di bambini muoiono ogni anno per la mancanza di un bicchiere d’acqua pulita e di un servizio igienico – rapporto UNDP sullo Sviluppo Umano 2006 “L’acqua tra potere e povertà” – i documenti non bastano, mentre i progetti e le iniziative delle innumerevoli realtà associative e non governative in Europa non sono certo una forma mascherata di leadership quando rappresentano una reale partnership con le popolazioni dei Paesi che si intendono aiutare.

Dario Porta

(15 novembre 2006)


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