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UE: norme comuni sui rimpatri

by Redazione

 

Il Consiglio ed il Parlamento europeo, in questi giorni, stanno cercando un accordo per approvare entro giugno un testo normativo relativo a procedure valide in tutta l’Europa per i rimpatri dei migranti irregolari non comunitari. Il confronto, protrattosi per tutto il 2007, tra gli Stati membri, in seno al Consiglio, e le Istituzioni dell’Ue aveva portato ad un progetto di mediazione a cura del deputato europeo Manfred Weber (PPE), ma tale proposta di direttiva per uniformare le espulsioni non ha trovato consenso unanime, né all’interno dell’Assemblea, né tra i 27 Paesi europei; i loro ambasciatori venerdì scorso non l’hanno approvata.

 

Infatti, da una parte ci sono le critiche dei gruppi parlamentari di sinistra, contrari ad una regolamentazione che a loro avviso si allinea alle posizioni dei Paesi con pratiche nazionali più restrittive, dall’altra Paesi come la Francia, la Germania a cui si aggiungerà l’Italia, i quali rappresentano il fronte rigorista e che non intendono cedere sulla questione del “divieto di ritorno” degli stranieri allontanati.
Una delle questioni principali oggetto di scontro è quella riguardante il periodo massimo di detenzione temporanea per i cittadini non comunitari trovati senza permesso di soggiorno, da sei mesi a diciotto in casi particolari (come di minaccia per l’ordine pubblico), secondo il testo proposto. Attualmente si riscontrano differenze di limiti temporali di permanenza nei centri tra i vari Paesi europei, si va dai 32 giorni della Francia, ai 60 dell’Italia, fino ai 18 mesi della Germania, mentre la Spagna intende aumentare i 40 giorni previsti. La durata della detenzione è illimitata nel Regno Unito, in Olanda, Danimarca e Svezia.

I Parlamentari europei nella loro relazione di accompagnamento al progetto hanno posto l’accento sulla necessità di procedure che garantiscano i diritti umani sostenendo emendamenti ad hoc che prevedono per esempio un ruolo di monitoraggio alle organizzazioni non governative, codici di condotta umanitari a livello nazionale, chiara definizione delle zone di transito.

Per quanto riguarda il divieto di ritorno con un limite temporale di cinque anni, in seguito all’«allontanamento», anche in questo caso non sì è raggiunto un accordo. Le perplessità i alcuni Stati si pongono sul timore che la direttiva, così come formulata, induca ad adottare – come misura ordinaria – l’accompagnamento alla frontiera poiché, diversamente, nei casi di rimpatrio volontario non sarebbe possibile vietare il reingresso. Per i minori accompagnati la proposta di direttiva prevedeva che questi e le loro famiglie non possono essere trattenuti che per un breve periodo di tempo ed in casi particolari, e assicura loro libero accesso all’istruzione. Gli avversari della proposta rifiutano in toto la previsione di detenzione per i minori.

Ancora una volta le diverse politiche nazionali restrittive o meno si confrontano con serie difficoltà nel definire norme su procedure comuni. Con l’allargamento della zona Schengen a molti dei Paesi europei dell’ex-blocco orientale, malgrado controlli rafforzati, il flussi dei cittadini stranieri in cerca di un futuro migliore non accennano a diminuire, l’immigrazione illegale è un problema sempre più difficile da risolvere a livello nazionale e gli Stati membri hanno compreso l’importanza di un’azione congiunta per favorire l’immigrazione legale, combattere quella illegale ed il traffico degli esseri umani. Si tratta di cercare una soluzione anche attraverso un compromesso, certamente non da facile da raggiungere.

Dario Porta

(9 maggio 2008)


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