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Aiuti allo sviluppo: l’Italia non taglia più. Ma la risposta vera è l’efficacia

by Redazione

di Vittorio Sammarco Quando si dice o scrive qualcosa di inesatto è sempre buona norma riconoscere di avere sbagliato e correggersi. Lo faccio volentieri perché è una bella notizia.  Ho scritto che l’Italia, anche nell’ultimo anno, ha continuato a tagliare i fondi destinati alla Cooperazione allo sviluppo. I famosi aiuti internazionali. Che sono quelli che consentirebbero, con un pizzico di ragione, ma proprio un pizzico, di sostenere la tesi che è meglio aiutare i Paesi in via di sviluppo, e quindi le persone e i popoli che in essi vivono, nelle proprie terre e nei propri contesti di vita.

Leggo invece che così non è. Il recente Report Annual della Development Co-operation Directorate (DCD-DAC)l’organismo dell’Ocse per la supervisione degli aiuti allo sviluppo, dice che l’Italia nell’ultimo anno ha finalmente arrestato il calo che procedeva da anni e invertito la tendenza: ora ha raggiunto la quota dello 0,16% del Pil.

Beninteso: lontanissimo dallo 0,70% che era l’obiettivo concordato con gli altri Paesi europei. E persino lontano da quanto danno altri Paesi non certo più ricchi di noi come ad esempio Islanda (0,26%) Portogallo (0,23%), Austria (0,28%), Irlanda e Belgio (0,45), per non parlare di Regno Unito Danimarca, Svezia e Norvegia che hanno superato abbondantemente il limite minimo dello 0,70. Una strada lunga e complicata che dovrebbe portare allo 0,24% per il 2015, lo 0,28 per l’anno successivo e almeno lo 0,32 per il 2017.

D’accordo, l’ammontare della cifra non è forse la questione principale. “Per raggiungere gli obiettivi serve una visione strategica più chiara”, ha giustamente affermato il direttore di Oxfam Italia, Francesco Petrelli. Delle disfunzioni e degli sprechi della cooperazione allo sviluppo negli anni scorsi tutti gli addetti al settore sono ben al corrente. Ora la Direzione Generale sostiene di aver invertito la rotta, stabilendo priorità e linee per una maggiore efficacia negli interventi. Eppure è evidente che non è diminuendo i fondi che si migliora la qualità delle operazioni d’intervento, come si è detto in maniera poco accorta negli ultimi tempi. Occorre analisi dei dati, raccolta, studio e messa a punto in progettazione, occorre soprattutto responsabilizzazione, controlli e rendicontazione, linee chiare di obiettivi da raggiungere e snellimento delle procedure. Un metodo che ormai è applicato un po’ dovunque, anche in aziende di piccole e medie dimensioni. E’ troppo importante la posta in gioco. Si tratta dell’equilibrata ed equa crescita generale del Pianeta. Che la minoranza dei pochi ricchi non continui ad utilizzare le proprie posizioni di privilegio a danno di alcune grandi aree condannate a rincorrere: non può e non deve essere un sogno utopistico. Anche quei pochi miliardi (perché le percentuali sono obiettivamente basse) possono servire al riequilibrio delle ricchezze. Trincerarsi dietro le difficoltà di bilancio e poi lamentarsi perché dai Paesi che si dovrebbero aiutare giungono frotte di disperati in cerca di salvezza, è o no una forma di ipocrisia?


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