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CHIUDERE ALL’IMMIGRAZIONE? FACCIAMO CHIAREZZA

by Redazione

Bassissima crescita demografica, fuga di italiani all’estero e politiche ostili all’immigrazione rischiano di condannare il futuro de nostro Paese. I dati della Commissione Europea nel Country Report 2018, con le osservazioni del responsabile della UIL immigrazione (nonché vicepresidente di Nessun Luogo è Lontano)

Di Giuseppe Casucci

 

L’Italia perde costantemente quote di popolazione, sia a causa del basso tasso di fecondità, sia per la fuga di italiani qualificati all’estero. Attualmente gli autoctoni sono meno di 55 milioni e in discesa apparentemente inarrestabile (- 100/150 mila l’anno). Anche il flusso di arrivi di stranieri è sensibilmente calato e una parte di essi (causa mancanza di lavoro) torna a casa o va a cercare lavoro in altri Stati UE. Questo dovrebbe portarci a rafforzare programmi di sostegno alle famiglie e, al contempo, varare politiche maggiormente ragionate sugli stranieri. Invece prevale un sentimento (anche pubblico) di diffidenza e rigetto dei migranti (vedi risultati elettorali del 4 marzo) frutto delle conseguenze di una lunga crisi economica, ma anche di campagne mediatiche a dir poco razziste e odiose. Attualmente gli stranieri residenti in Italia sono circa 5.047.000 (dati Istat), di cui 3.714.000 cittadini di paesi terzi. A questo numero bisogna aggiungere i circa 1,5 milioni di nuovi italiani: ex stranieri, cioè che si sono naturalizzati. Ma anche gli italiani residenti all’estero sono un numero paragonabile (circa 5 milioni). Quindi abbiamo 5 milioni di nostri connazionali che se ne sono andati, rimpiazzati da altri 5 milioni di stranieri. La differenza è che noi importiamo migrazione a basso livello professionale, mentre esportiamo laureati. Il motivo va ricercato nel gap tecnologico (ricerca, innovazione) – tra noi e altri paesi – che si è protratto per anni. Si è preferito da parte del sistema economico nostrano cercare competitività sul fronte del dumping salariale (o nello spostamento all’estero di alcune produzioni), invece che nell’innovazione e maggiore qualità di processo e di prodotto. Non è un caso se la direttiva UE sulla “blue card” si è rivelata in Italia un vero flop.

Questa situazione, se non corretta, rischia di portare il nostro Paese su di una strada di grave declino demografico, economico e politico a livello europeo. Basta solo pensare alla spesa previdenziale, in parte oggi pagata proprio dal lavoro degli immigrati.

La dinamica della popolazione italiana pone sfide a medio termine. Per determinare l’impatto socioeconomico delle tendenze demografiche è fondamentale la combinazione di due fattori principali: la variazione dell’entità della popolazione e la sua struttura. Entrambi i fattori dipendono dall’andamento del tasso di fecondità e dai flussi migratori. Tra il 2005 e il 2015 la popolazione in età lavorativa è aumentata di circa 770.000 unità, grazie a un saldo migratorio netto positivo pari a circa 1.610.000 unità. Secondo le proiezioni, tuttavia, la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) subirà una contrazione del 19% entro il 2050. In uno scenario a migrazione zero il calo sarebbe quasi il doppio. Nel 2016 la percentuale della popolazione italiana al di sopra dei 65 anni di età (22%) era inoltre superiore alla media UE (19,2%). Di conseguenza, l’indice di dipendenza degli anziani si è attestato al 34,3% (UE: 29,3%) e, secondo le previsioni, supererà il 60% entro il 2045. Se si aggiunge che l’Africa è in fase di raddoppio della popolazione, se ne deduce che le politiche di chiusura verso i migranti sono un vero suicidio da parte del nostro sistema/Paese. Prova ne è il blocco del decreto flussi d’ingresso in atto ormai da 8 anni, la necessità di delegare a Paesi africani il controllo dei flussi (a scapito dei diritti umani) e una legislazione migratoria punitiva verso gli stranieri e inefficace ai fini dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, oltre alla incapacità di governare i flussi. Per la UIL, oltre a una politica decisamente favorevole alla fecondità delle famiglie italiane (maggiori servizi alle famiglie, parità effettiva di genere, maggiore stabilità nel lavoro e accesso alla carriera), va varata una politica di ricerca di migrazione qualificata che deve andare di pari passo a un ammodernamento dell’intero sistema economico e produttivo. Va dunque riformata la Bossi/Fini e vanno aperti canali d’ingresso regolare per lavoratori stranieri, sulla base delle esigenze del mercato della manodopera; vanno valutati titoli e competenze degli stranieri, al fine di un loro riconoscimento e valorizzazione; va riformata la legge sulla cittadinanza per permettere ai figli dei lungo residenti di poter scegliere se diventare italiani; vanno offerte ai nostri connazionali in fuga verso l’estero occasioni vere di lavoro qualificato. Ne va del nostro futuro.

 

Scarica il Country report sull’Italia della Commissione Europea

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/2018-european-semester-country-report-italy-it.pdf

 

 


CHIUDERE ALL’IMMIGRAZIONE? FACCIAMO CHIAREZZA

by Redazione

Bassissima crescita demografica, fuga di italiani all’estero e politiche ostili all’immigrazione rischiano di condannare il futuro de nostro Paese. I dati della Commissione Europea nel Country Report 2018, con le osservazioni del responsabile della UIL immigrazione (nonché vicepresidente di Nessun Luogo è Lontano)

Di Giuseppe Casucci

 

L’Italia perde costantemente quote di popolazione, sia a causa del basso tasso di fecondità, sia per la fuga di italiani qualificati all’estero. Attualmente gli autoctoni sono meno di 55 milioni e in discesa apparentemente inarrestabile (- 100/150 mila l’anno). Anche il flusso di arrivi di stranieri è sensibilmente calato e una parte di essi (causa mancanza di lavoro) torna a casa o va a cercare lavoro in altri Stati UE. Questo dovrebbe portarci a rafforzare programmi di sostegno alle famiglie e, al contempo, varare politiche maggiormente ragionate sugli stranieri. Invece prevale un sentimento (anche pubblico) di diffidenza e rigetto dei migranti (vedi risultati elettorali del 4 marzo) frutto delle conseguenze di una lunga crisi economica, ma anche di campagne mediatiche a dir poco razziste e odiose. Attualmente gli stranieri residenti in Italia sono circa 5.047.000 (dati Istat), di cui 3.714.000 cittadini di paesi terzi. A questo numero bisogna aggiungere i circa 1,5 milioni di nuovi italiani: ex stranieri, cioè che si sono naturalizzati. Ma anche gli italiani residenti all’estero sono un numero paragonabile (circa 5 milioni). Quindi abbiamo 5 milioni di nostri connazionali che se ne sono andati, rimpiazzati da altri 5 milioni di stranieri. La differenza è che noi importiamo migrazione a basso livello professionale, mentre esportiamo laureati. Il motivo va ricercato nel gap tecnologico (ricerca, innovazione) – tra noi e altri paesi – che si è protratto per anni. Si è preferito da parte del sistema economico nostrano cercare competitività sul fronte del dumping salariale (o nello spostamento all’estero di alcune produzioni), invece che nell’innovazione e maggiore qualità di processo e di prodotto. Non è un caso se la direttiva UE sulla “blue card” si è rivelata in Italia un vero flop.

Questa situazione, se non corretta, rischia di portare il nostro Paese su di una strada di grave declino demografico, economico e politico a livello europeo. Basta solo pensare alla spesa previdenziale, in parte oggi pagata proprio dal lavoro degli immigrati.

La dinamica della popolazione italiana pone sfide a medio termine. Per determinare l’impatto socioeconomico delle tendenze demografiche è fondamentale la combinazione di due fattori principali: la variazione dell’entità della popolazione e la sua struttura. Entrambi i fattori dipendono dall’andamento del tasso di fecondità e dai flussi migratori. Tra il 2005 e il 2015 la popolazione in età lavorativa è aumentata di circa 770.000 unità, grazie a un saldo migratorio netto positivo pari a circa 1.610.000 unità. Secondo le proiezioni, tuttavia, la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) subirà una contrazione del 19% entro il 2050. In uno scenario a migrazione zero il calo sarebbe quasi il doppio. Nel 2016 la percentuale della popolazione italiana al di sopra dei 65 anni di età (22%) era inoltre superiore alla media UE (19,2%). Di conseguenza, l’indice di dipendenza degli anziani si è attestato al 34,3% (UE: 29,3%) e, secondo le previsioni, supererà il 60% entro il 2045. Se si aggiunge che l’Africa è in fase di raddoppio della popolazione, se ne deduce che le politiche di chiusura verso i migranti sono un vero suicidio da parte del nostro sistema/Paese. Prova ne è il blocco del decreto flussi d’ingresso in atto ormai da 8 anni, la necessità di delegare a Paesi africani il controllo dei flussi (a scapito dei diritti umani) e una legislazione migratoria punitiva verso gli stranieri e inefficace ai fini dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, oltre alla incapacità di governare i flussi. Per la UIL, oltre a una politica decisamente favorevole alla fecondità delle famiglie italiane (maggiori servizi alle famiglie, parità effettiva di genere, maggiore stabilità nel lavoro e accesso alla carriera), va varata una politica di ricerca di migrazione qualificata che deve andare di pari passo a un ammodernamento dell’intero sistema economico e produttivo. Va dunque riformata la Bossi/Fini e vanno aperti canali d’ingresso regolare per lavoratori stranieri, sulla base delle esigenze del mercato della manodopera; vanno valutati titoli e competenze degli stranieri, al fine di un loro riconoscimento e valorizzazione; va riformata la legge sulla cittadinanza per permettere ai figli dei lungo residenti di poter scegliere se diventare italiani; vanno offerte ai nostri connazionali in fuga verso l’estero occasioni vere di lavoro qualificato. Ne va del nostro futuro.

 

Scarica il Country report sull’Italia della Commissione Europea

https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/2018-european-semester-country-report-italy-it.pdf

 

 


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