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“Dalle discriminazioni ai diritti”. Dossier immigrazione 2013: sono una risorsa, non un problema

by Redazione

Lo slogan del Dossier Statistico Immigrazione 2013, “Dalle discriminazioni ai diritti”, propone un programma impegnativo nell’attuale fase della storia dell’immigrazione in Italia. Sono le parole di Franco Pittau, coordinatore del Centro Studi e Ricerche IDOS. Che quest’anno ha realizzato il rapporto in collaborazione con l’Unar (l’Ufficio nazionale antidiscrimanzioni razziali). Dossier presentato a Roma il 13 novembre scorso e di cui riportiamo qui un’ampia sintesi della relazione del coordinatore. Per saperne di più si veda il sito del Dossier con la ricca Documentazione

 

“Dalla metà degli anni ’70, – afferma Pittau – sono passati quarant’anni, che però non si sono rivelati sufficienti per creare una mentalità condivisa e pervenire a quel minimo comune denominatore, che in altri paesi costituisce la base ispiratrice delle decisioni a livello legislativo, politico, culturale e sociale nei confronti degli immigrati. Da noi si è assistito solo a un consistente aumento delle presenze straniere sotto la spinta della loro funzionalità, ma con una forte contrapposizione per quanto riguarda il loro inserimento… “Dalle discriminazioni ai diritti” sottolinea la direzione da seguire, non perché costretti dal diritto comunitario e dalle sentenze dei giudici, ma perché spinti dalla consapevolezza che ciò risponde all’interesse di un paese coeso, che non può lasciare ai margini una quota di popolazione così importante.”

I numerosi dati del nuovo Dossier possono essere riassunti in tre punti.

1. L’immigrazione, essendo a carattere strutturale, è aumentata anche durante la crisi

La crisi ha continuato a produrre in Italia effetti negativi, ma, così come è avvenuto negli anni passati, la popolazione immigrata è ancora aumentata. Si registra un aumento del numero dei residenti stranieri (4.387.721), cresciuti dell’8,2% anche grazie alla registrazione di presenze inizialmente non censite. L’aumento è stato del 3,5% per i soggiornanti non comunitari (3.764.236). Inoltre, secondo i redattori del Dossier, la stima della presenza regolare complessiva è di 5.186.000

2 (175mila in più rispetto all’anno precedente). L’aumento sarebbe stato più consistente se la perdita del posto di lavoro non avesse implicato la perdita del diritto per migliaia di persone (sono 180mila i permessi, in prevalenza per lavoro e famiglia, scaduti e non più rinnovati, fortunatamente meno del 2011 grazie al prolungamento a 12 mesi della possibilità di restare in Italia per la ricerca del posto di lavoro). È importante sottolineare che l’aumento della popolazione immigrata è avvenuto in prevalenza per “forza interna” (79.894 nuovi nati da entrambi i genitori stranieri) e per via dei ricongiungimenti familiari (81.322 visti), il principale motivo d’ingresso nei periodi di crisi occupazionale. Ma, nel 2012, non sono mancati i nuovi inserimenti lavorativi, quelli recuperati attraverso la regolarizzazione (135.000 domande), quelli non soggetti a flussi per lavoro subordinato (52.328 visti per periodi superiori ai tre mesi) e le poche migliaia previsti dalle quote annuali in aggiunta ai permessi stagionali. I forti segni di stabilità sono ravvisabili in questi dati:

le nuove nascite (79.894 da entrambi i genitori stranieri e 26.714 da coppie miste), che incidono per un quinto sulle nascite totali;

i matrimoni misti (18.005, quasi un decimo di tutte le unioni);

– la crescente prevalenza dei titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo, e quindi a tempo indeterminato, che sono in media il 53,3% ma ben i due terzi nelle collettività albanese, tunisina, marocchina e senegalese;

l’accresciuta popolazione scolastica (786.650 studenti, per circa la metà nati in Italia), che incidono quasi per il 10% nella scuola d’infanzia e in quella primaria, mentre l’intera popolazione minorile può essere stimata pari ad almeno 1 milione e 250 mila unità, per i 3/4 con cittadinanza non comunitaria;

la crescente incidenza sull’occupazione (circa il 10%) con almeno 2,3 milioni di occupati stranieri;

l’aumento, nonostante la crisi, delle imprese con titolare nato all’estero o con più della metà dei soci e degli amministratori nati all’estero (477mila, delle quali circa la metà con titolare straniero e a carattere individuale).

2. I flussi continueranno nel futuro anche se ridimensionati

Nel futuro continuerà ad esserci un certo aumento degli immigrati:

– per la normale dinamica evolutiva delle famiglie; – per il continuo bisogno di manovalanza; – per l’ineludibile bisogno di manodopera qualificata destinata ad aumentare, seppure in misura modesta e non solo per quanto riguarda gli infermieri, al di fuori delle quote secondo la previsione introdotta dalla legge 40/1998 e successivamente potenziata dalla Direttiva UE sulla “Carta blu” comunitaria; – per l’afflusso di persone in fuga, di cui l’Italia non è l’unica e principale meta (nel primo semestre del 2013 sono state presentate in Italia 10.910 domande di protezione, ma nel 2012, nel mondo, ogni giorno sono state circa 23mila le persone in fuga, il doppio rispetto a quanto avveniva dieci anni fa); – per il progressivo aumento di collettività storiche come quella marocchina che, secondo stime condotte in un progetto di approfondimento che ha coinvolto il Marocco e l’Italia, in linea con l’andamento di questi anni di crisi, arriverà a superare le 800mila unità nel corso di un decennio; – per il continuo invecchiamento della popolazione, che continuerà ad alimentare il bisogno di personale per l’assistenza alle famiglie, agli anziani e ai malati, incrementando il numero di colf e badanti.

Tuttavia, rispetto al passato, quando o con la regolarizzazione o con le quote si è anche arrivati a superare il mezzo milione di nuovi lavoratori in un anno, i numeri saranno più contenuti, seppure significativi, anche rispetto all’intero contesto europeo.

Infine: “La gestione dell’immigrazione abbisogna di interventi di qualità”

Per diversi analisti il male dell’Italia consiste nell’essere sempre più un paese consumatore e sempre meno un paese produttore. L’immigrazione sembra rappresentare un’eccezione perché, ancora per un certo numero di anni, continuerà ad assicurare allo Stato un bilancio positivo tra costi da sostenere e benefici che ne derivano, con un utile stimato per il 2011 pari ad almeno 1,5 miliardi di euro. Un vantaggio che è, tuttavia, destinato a venir meno: se oggi gli immigrati incidono per l’1,5% su coloro che entrano in età pensionabile, secondo un recente studio EMN, nel 2025 saranno il 6%, per cui si attenuerà il supporto dei loro contributi a sostegno dell’equilibrio del sistema pensionistico nazionale. Quello che caratterizza in negativo l’Italia, sulla base di quanto si ricava dalle statistiche riportate nel Dossier, è la mancanza di un’idea unificante del fenomeno migratorio come si evidenzia sotto diversi aspetti:

la mancanza di una impostazione coerente e di lungo respiro di fronte a una presenza stabile che non riusciamo a considerare nostra, continuando a distinguere sempre tra “noi” e “loro;

l’esasperazione nell’affrontare problemi di per sé risolvibili, che ci porta, ad esempio, a considerare la presenza di qualche decina di migliaia di rom come uno tra i più assillanti problemi del paese;

il persistere di trattamenti discriminatori, che continuano a essere ritenuti ispirati al buon senso nonostante le “bacchettate” del diritto comunitario e della giurisprudenza;

la tendenza a porre in luce negativa le differenze, anche quelle religiose, ricorrendo a un linguaggio dalle tinte fosche che disattende l’impostazione raccomandata dalla “Carta di Roma”;

il mancato riconoscimento dei figli degli immigrati nati e cresciuti in Italia, senza dare un seguito alle 14 proposte di legge presentate per la riforma della cittadinanza.

Più ancora della disponibilità di maggiori risorse, serve una nuova “concezione dell’immigrazione”, questa volta positiva e maggiormente attenta alle opportunità, con particolare attenzione ai seguenti punti:

la presenza dei lavoratori immigrati va valorizzata come un importante fattore di politica estera, in grado di collegare l’Italia, anche a livello commerciale e con reciproci benefici, con i paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America che sono già o stanno diventando importanti protagonisti nell’economia mondiale;

una maggiore presenza di studenti internazionali, opportunamente attirata come raccomandato in una recente pubblicazione dell’European Migration Network, consentirà all’Italia di essere meglio collegata con le diverse leadership nazionali e di trarne innegabili vantaggi;

l’impegno per la pace e lo scambio tra i popoli passa anche attraverso l’accoglienza degli immigrati in un’ottica interculturale, tanto cara ai mediatori interculturali e in grado di estendere i suoi effetti anche ai paesi di origine;

– la qualificazione della politica migratoria, più che basarsi su costosi e impossibili impegni finanziari, consiste nel semplificare gli ingressi (riducendo le pastoie burocratiche, come è avvenuto riconoscendo la possibilità per gli stagionali, già dal primo anno, di convertire il relativo permesso di soggiorno in un permesso per lavoro subordinato), nel semplificare il riconoscimento delle qualifiche formative e professionali degli immigrati e nel promuovere piste innovative di qualificazione (ad esempio, a partire dallo stesso settore domestico);

la sproporzione tra costi sostenuti per il contrasto ai flussi irregolari e quelli destinati all’accoglienza va riequilibrato con urgenza.

Si può concludere, quindi, che il fenomeno migratorio è governabile in un’ottica diversa e meno securitaria e che, rispetto ai mali dell’Italia, continua a essere più una risorsa più che un problema. È urgente che l’Italia mutui dagli immigrati la volontà di “riuscire”, per tirarsi fuori da questa mortificante “impasse” che dura da troppi anni.

 


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