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Eppure, oltre ai dati del voto, c’è qualcosa di più…

by Redazione

Brevi e prudenti considerazioni, a caldo, sugli effetti di queste elezioni.

di Vittorio Sammarco

Cosa si può scrivere, a caldo, che abbia un minimo di senso e non sia stato già abbondantemente scritto e letto, per commentare un evento elettorale così complesso e dirompente come quello europeo del 25 maggio?
Nulla o ben poco: si succedono in queste ore le analisi e già se ne avverte l’abuso e la ripetitività.
Proviamo allora con prudenza a fare una scelta sottolineando con prudenza e umiltà alcuni aspetti che ci stanno a cuore.
Primo, appunto, andiamoci piano con le conclusioni affrettate che descrivono scenari e parlano di nuovi schemi politici in atto. L’elettorato è ormai fluido, l’elettore cambia – facilmente e spesso giustamente – idea; non si schiera “per partito preso” (è proprio il caso di dirlo…), ma giudica sulla base, sì, anche di emozioni e di incavolature istintive, ma il più lo deduce dai programmi, dalle idee, dalla capacità di essere credibili, dall’onestà praticata, dalle proposte e dalle cose fatte. Il desiderio di qualità in tutti i settori, anche nel nostro Paese, sta lentamente prendendo piede. Lo scoraggiamento in senso contrario è frutto solo di chi è incapace di vedere. Quelli che con cinismo hanno sostenuto che l’elettore vota solo con la pancia, ebbene, qualche piccola autocratica dovranno pur farla.
Secondo: la Tv influenza il voto? Per chi si occupa di comunicazione è un antico dilemma. Sì, tanto, e la capacità di “bucare” il video del presidente del Consiglio nonché segretario del Pd, ne è prova. Ma non basta. E non è vero che nell’ultimo ventennio è lei che ha fatto vincere B. (ci sono numerosi e cauti saggi che argomentano con serietà su questo). La tv mette in risalto qualità o difetti che ci sono. E vengono perciò premiati o condannati. Bisogna studiare e capire come si è fatti, cosa si è e cosa si pensa, come si parla e poi – forse – si intuisce anche se si è in grado di dire qualcosa e di farsi capire. Giocare ad interpretare un rito e un personaggio (in troppi talk show spesso abbiamo visto questo, ma ormai non funziona più…) spesso suscita la reazione contraria.
Terzo: se è vero che “uno vale uno”, le masse caricate a pallettoni come un solo uomo per assaltare il perfido palazzo sono un palese controsenso. Nell’epoca dell’estrema (e a volte eccessiva) valorizzazione dell’individuo, i singoli vogliono e devono avere la propria voce, la propria occasione di essere ascoltati, di essere attivi, di contribuire e di mettersi in gioco. “Ci sono anche io, e se mi ritrovo con te poi – forse – ti voto”. Anche qui, è necessaria una sottolineatura: c’è chi storce il naso se sente parlare di partecipazione. Per questi la democrazia è decidere e fare. Punto. Poi si scopre che (al netto degli astenuti, che spesso non sono disinteressati alla politica ma sono l’altra faccia di chi vorrebbe partecipare e poi – disturbato e allontanato dall’andazzo generale – non lo fa) c’è una gran parte di popolo di appassionati che non si tira indietro. Chi sa accoglierli e farli sentire veramente protagonisti, vince. Grillo lo ha fatto nei primi anni di vita. Poi, però, la pretesa di mettere alla porta ogni dissenso per mantenere compatto il gruppo dei fedeli, ne ha evidenziato la contraddizione. E quindi frenato la crescita. Non così Renzi che, invece, da Presidente del Consiglio ha, tra l’altro, appena lanciato una campagna di ascolto per la riforma del Terzo settore e indicato come partecipare (vedi). Non avrà contribuito anche questo al suo successo?
Ancora (ma è solo una prima veloce e rapida rassegna di idee, ben vengano quelle successive, di questo è fatta la vitalità di una democrazia…) una domanda: perché la sinistra italiana, spesso dotata di buone e giuste idee contro un capitalismo che svela ogni giorno e mese di più le sue abilità a produrre storture, riceve nelle urne un risultato così misero in Italia (il 4%)? D’accordo, vince il riformismo del Pd, che è di centro sinistra e solo i maliziosi descrivono come uno dei volti (buono?) del moderatismo italiano. No, non credo sia così. La difficoltà della sinistra di riscuotere consensi più corposi, quando invece lo stesso leader in Grecia trionfa, la descrive Rodotà (sostenitore della Lista Altra Europa con Tsipras). Il giurista, in positivo, così dice al Corsera della partito dei socialisti greci: “Syriza lavora da anni nella società greca. E’ un partito che è stato vicinissimo ai cittadini greci nei momenti più difficili ed è questa prossimità che ha conquistato il forte consenso”. Ecco: “la prossimità”, quella che in modo più elementare noi definiamo stare con la gente, occuparsi dei loro problemi, farsi sentire nel territorio, nelle periferie, farsi vedere, ospitare, curare, soccorrere e sovvenire. Anche così si fa politica. Il Pci, una volta lo faceva. E bene. E ora?
Ultima, ma non più ultima: come si fa a non vedere la crescita – non dirompente, forse – ma di certo costante e preoccupante, di movimenti e forze nazionaliste e populiste in Europa? Allora domandiamoci: cosa vogliamo fare per contrastarla? Continuare a dire, come fanno certi strateghi della politica, “non parliamo di immigrazione e integrazione perché così si perdono voti”, “perché alle persone il tema fa paura”, oppure occuparci (diciamo con un pizzico di orgoglio, come facciamo noi e altri amici di viaggio, da anni) dei problemi e trovare le soluzioni compatibili? Meglio la seconda, vero?
E allora discutiamone. Sappiamo e ne siamo certi, che legalità, cittadinanza, lavoro, criteri di accoglienza, diritti, e progetti di cooperazione, sono, non il modo migliore, ma l’unico per rispondere con risultati positivi al fenomeno del confronto aspro e travagliato tra civiltà, popoli e culture che la globalizzazione sta imponendo.
Chiudere le porte a una pressione siffatta è, né più né meno, che raccogliere con un bicchierino l’acqua in una nave che affonda.
Non facciamoci spaventare dalle destre europee che chiedono (e i nostri piccoli verdi padani si alleino pure) nel nome di un’identità a rischio, la chiusura delle frontiere. La nostra storia italiana plurimillenaria è bellissima e ricchissima proprio perché le frontiere non sono state mai chiuse (è il mare che lo impone).
E se non ci facciamo prendere da inutili e inopportune paure, potremmo con maggior efficacia e autorevolezza, andare sui tavoli europei istituzionali e trattare adeguate ed efficaci politiche di accoglienza e di risposta al fenomeno e ai disagi che provoca. E staremo tutti meglio.

Vittorio Sammarco


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