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Europa e futuro, la vera posta in gioco

by Redazione

Certamente la crisi economica ha risvolti allarmanti, così come li hanno l’inquinamento, il surriscaldamento globale o l’esplosione demografica. Fino a due anni fa ci preoccupava il futuro dei nostri figli, oggi ci sembra che anche il nostro dopodomani non sia più così sicuro.

Fino a qualche anno fa il nostro forte inguaribile provincialismo ci avrebbe fatto consolare con il fatto che la crisi non è solo nostra ma di tutta l’Europa e dell’Occidente in generale; ora sembriamo almeno aver capito che il mal comune non fa mezzo gaudio, ma un disastro intero. È già qualcosa!

Disconoscere o anche solo attutire l’importanza drammatica di questi concretissimi problemi, sarebbe impensabile. Eppure qualcosa non mi torna e un dubbio mi assilla stando alle preoccupazioni che sento raccontare, di cui leggo sui giornali, di cui ragiono con i miei amici. Non è che ci stiamo concentrando sugli effetti e ignoriamo che esistono delle cause?

In altri termini, è fuori dal mondo avere il dubbio che l’enorme portata dei problemi che sembrano esserci piovuti addosso all’improvviso, ci rendano difficile dare il giusto peso alle reali cause di questa fase? Le cause prime intendo, quelle profonde, filosofiche, fondamentali direi. Questa crisi o, meglio, queste crisi, rappresentano una fase di passaggio o il passaggio di una fase? È crisi di indicatori economici, di stabilità del clima, di esplosione demografica, di credibilità di quasi tutti gli enti laici e religiosi o, piuttosto, è crisi di sé e di senso, di presente e di destino?

Il raccapriccio che in molti proviamo per il campo di sterminio in cui la Libia tiene i 245 “detenuti” eritrei a Misratah, che tipo di sentimento è? Questi 245 esseri subumani, terrorizzati, pestati, lasciati crepare di fame, di sete, in compagnia dei cadaveri semidecomposti dei loro familiari e amici che hanno preferito morire, cosa ci fanno pensare? Dei respingimenti con raggiro di donne, bambini, di possibili richiedenti asilo fatti a due passi dalle nostre acque territoriali ancora il 1 luglio scorso, cosa abbiamo deciso di pensare? Del fatto che solo pochissimi (e da pochissimi letti ) organi di stampa ne abbiano dato diffusa notizia (ahi quanti bavagli, non solo quelli di Berlusconi), che idea abbiamo deciso di farci?

Che esiste nel Corno d’ Africa e in molti altri luoghi una grave carenza di diritti  umani? Che una parte crescente e determinante del pianeta è in mano a despoti rozzi e sanguinari? Che negli ultimi dieci anni sono decuplicate le morti politiche, gli eserciti formati da bambini, le donne come bottino di guerra, la religione come motivo e strumento per dare e ricevere morte? Che l’informazione in Europa è libera come una giraffa allo zoo safari e che polemizza con chi vuole limitarne la libertà, ma poi è pigra, convenzionale, corporativa? Certo, ma non basta.

A me viene l’angoscia se penso che l’Europa, il continente dove sono felice di esser nato e di vivere, potrebbe arretrare o non avanzare – il che sarebbe pure peggio – sul piano dell’interposizione umanitaria, della tutela dei diritti delle persone, della scelta non negoziabile di stare dalla parte del più debole sempre e comunque e contro tutte le persecuzioni. L’Europa che, più di chiunque al mondo, sceglie di difendere e sostenere i deboli, non solo i suoi concittadini deboli, e di questa scelta fa l’unica identità che meriti di essere evocata e difesa. A me vengono i brividi se mi metto a pensare a quante voci si sono affermate e hanno fatto carriera qui da noi in Europa e in Italia, parlando alla pancia di gente senza testa. In Olanda, in Germania, in Ungheria, in Belgio, in Italia.

A quelli che da anni giocano col fuoco dell’odio che, com’è inevitabile, nasce  razziale, prosegue religioso e rapidamente si estende alle donne che non ci stanno, agli zingari, agli omosessuali. È  una storia che conosciamo e che non abbiamo imparato da Al Qaeda, abbiamo fatto prima noi, sessant’anni fa. Ho nelle orecchie le predicazioni, che sembrano lucide e sono farneticanti, secondo le quali dobbiamo tornare padroni in casa nostra, non abbiamo soldi per tenere le truppe in Afghanistan, non possiamo permetterci di sostenere le agenzie internazionali umanitarie. Ho il terrore che l’Europa possa perdere per distrazione e per prevalenza dei mediocri tutto quello che nella  metà del secolo scorso ha contribuito a costruire: la caduta delle dittature e la creazione delle agenzie umanitarie, la Convenzione di Ginevra e la Carta di Treviso. Le mille convenzioni, trattati, accordi. Alcuni indispensabili, altri utili, altri inadeguati, eppure tutti necessari per dire al mondo che da noi è diverso. Che noi, che pure abbiamo conosciuto il fascismo, il nazismo, il franchismo e anzi proprio per questo, ci siamo dati delle regole per cui nessuno può essere perseguitato per le cose in cui crede, per il dio che prega, per il sesso che ha o perché lo fa e con chi.

Ho terrore anche io che i nostri rubinetti smettano di darci acqua potabile o che le mia figlie siano domani più povere e insicure di me oggi certo, ma ho altrettanta paura che il mio continente possa cominciare a credere che rappresentare la democrazia, la libertà, il diritto, pur in modo parziale e imperfetto, sia un lusso che non possiamo permetterci. In questo caso perderemmo l’anima e quella nessuno potrebbe ridarcela. Tutti abbiamo conosciuto almeno una persona che, caduta in ristrettezze, sia poi riuscita a ripartire e a farcela. Ditemi quanti di voi hanno conosciuto uno che, perduta l’anima, l’abbia poi ritrovata. E a quanti credono che dell’anima come del sushi si possa anche fare a meno, dico che non vorrei trovarmi dalle loro parti quando ciò dovesse accadergli.

Fabrizio Molina

13 luglio 2010


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