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IL FIUME CARSICO DELLA RAPPRESENTANZA

by Redazione

Quella della cittadinanza è una battaglia maledettamente difficile. Una delle ultime riserve indiane dove l’ideologia la fa da padrona. All’inizio della nuova legislatura qualche illusione era stata cullata: dopo i primi interventi un po’ estemporanei di qualche membro del governo soprattutto in tema di Cpt, aveva preso il timone il Ministro Amato che, di solito, sa bene ciò che dice. Avevamo notato da parte sua lo sforzo di affrontare il tema della governance dei fenomeni migratori finalmente in modo maturo, come dovrebbe farlo un Paese civile. In Commissione Affari Costituzionali alla Camera aveva fissato alcuni paletti: innanzitutto, aveva detto, ci sono delle cose che devono essere sanate per via regolamentare e non per legge e, su quell’elenco dettagliato, aveva impegnato il Governo e in particolare il suo Ministero: tempi certi e sensati per l’attribuzione dei permessi di soggiorno, la soppressione delle condizioni vessatorie in tema di abitabilità e ricongiungimenti, ecc. Aveva anche detto che i Cpt vanno riformati non chiusi, con buona pace dei rètori del bene assoluto.
Da ultimo, non si era sottratto alla questione della cittadinanza e del diritto di voto per i cittadini regolarmente soggiornanti. Di più: proponendo la riduzione del tempo di concessione della cittadinanza da dieci a cinque anni, faceva piazza pulita di tante proposte intermedie e superava, d’impeto, anche la Convenzione di Strasburgo del ’92 della quale Nessun Luogo è Lontano è tra i più ostinati propugnatori. Con l’insieme di queste proposte molti, noi compresi, hanno provato la vertigine positiva di chi dopo tanta navigazione vede l’approdo e il contemporaneo disagio di chi, dopo anni di impegno e di lotta, si troverà presto senza più avversario. Bisogna dirlo, ci siamo sentiti come si diceva un tempo, scavalcati a sinistra.
Forse è stato sottovalutato da alcuni quel minimo di saggezza politica così bene riassunta dal proverbio americano che dice “ quando hai le mani sull’aratro, lascialo solo quando sei in fondo al campo”.  Durante l’estate è cominciato il cecchinaggio del Lodo Amato. Per dire meglio in estate si è ricominciato a salmodiare di terrorismo, di sbarchi, di identità religiose, di radici e di scontro di civiltà, come fossero tutti paragrafi del capitolo immigrazione. E i nemici del Lodo Amato, cui va aggiunto il nome di Prodi, che non siedono solo a destra, hanno riaperto la palude nella quale è sprofondata la questione cittadinanza / voto. Si avvicinava la possibilità di discutere il provvedimento? Ecco una bella sparata sull’islam fondamentalista. Amato riuniva la Consulta? Ecco che i sicurologi in servizio h 24 tuonavano che finchè c’è di mezzo l’Ucoii, niente diritti pieni. Una disperazione! Tutto era da prevedersi, non fino al punto però di arrivare al 31 agosto con lo stop alle iniziative di voto amministrativo avviate da Perugia, La Spezia, Cesena. Esattamente come aveva già fatto il Governo Berlusconi. Né più, né meno. Certo, con motivazioni giuridicamente più forbite, ma le questioni che attengono alla sicurezza e ai diritti, non rientrano nel bòn tòn; esse sono la sostanza di una democrazia, non la sua forma.
Anche a voler prendere per buone le motivazioni politiche del provvedimento, che in sostanza indicano come strada quella di una legislazione organica e non quella del “fai da te”, occorreva comunque che l’Esecutivo marcasse una differenza rispetto alle politiche precedenti. Una differenza che poteva e doveva essere anche una proposta. Non è stato fatto, la facciamo noi: si convochi per la primavera prossima una grande assemblea di ascolto delle amministrazioni cittadine, provinciali, locali in genere. Stabilita una data, si dia modo a chi vuole di tornare a fare politica, nelle piazze, nelle scuole, nei centri anziani, in TV, in par condicio e con regole certe. Dobbiamo incontrare gente, cittadini, dire loro che chi con fatica conquista un diritto, difficilmente vorrà perderlo, mentre chi viene ricacciato ai margini è, potenzialmente, carne per il crimine. Dobbiamo spiegare che non può reggere un sistema sociale che ha quasi il 50 % di alunni di provenienza immigrata, dove intere aree produttive e distretti industriali vivono grazie a manodopera straniera, dove quasi tutto il servizio di cura alle persone non autosufficienti è ad opera di persone immigrate ma che a votare andiamo noi. E noi soltanto.  Lo so che possiamo perdere, ma possiamo anche vincere e, comunque, dobbiamo giocarcela.

Fabrizio Molina

(12 settembre 2006)


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