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IUS SOLI: la riforma prossima ventura

by Redazione

Acceso confronto nell’incontro tra esperti, sulla riforma della cittadinanza organizzato dalla Uil nazionale e da Nessun Luogo è Lontano a Roma il 19 luglio scorso

di Giuseppe Casucci e Vittorio Sammarco

Per quale motivo un settore della politica e dei media hanno avviato una “crociata” contro i diritti civili dei minori stranieri, in buona parte nati in Italia, al fine di negare loro la possibilità di diventare italiani prima di compiere 18 anni? Perché si confondono, pretestuosamente, sbarchi e diritti civili, come se i secondi dovessero essere subordinati all’andamento dei primi. E viceversa?

E ancora: perché fare le barricate in Parlamento per impedire che i compagni di scuola dei nostri figli possano sentirsi, anche legalmente, e uguali a loro?

Per dare risposta al coacervo di domande e contraddizioni, la UIL e l’associazione Nessun Luogo è Lontano hanno riunito, lo scorso 19 luglio, alcuni esperti, rappresentanti istituzionali, sindacalisti, docenti, e ragazzi direttamente interessati, al fine di mettere a fuoco quanto sia in gioco – anche in termini di futuro modello della nostra società – con la riforma del cosiddetto Jus Soli (che poi è molto temperato).

Non c’è dubbio che l’impatto contenuto nelle nuove norme, approvate dalla Camera ma ferme da 21 mesi al Senato, assume un carattere anche antropologico, in quanto accende possibili riflessi su vari fronti: culturale e religioso, economico, demografico, sociale, burocratico e di identità nazionale.

Tra gli ospiti che hanno partecipato al confronto: Stefano Ceccanti, Ordinario di diritto pubblico comparato Università La Sapienza-Roma; On. Andrea Maestri (gruppo Possibile); Giulia Perin, avvocato ASGI; Ugo Melchionda, Direttore di Idos- Dossier Immigrazione; Graziano Havilovich, Presidente di Roma – Onlus; Simohamed Kaabour di CoNNGI; Paula Baudet Vivanco, della rete #italiani senza cittadinanza; Pietro Vulpiani, esperto; Noèmi Ranieri, della UIL-Scuola Nazionale. I lavori sono stati introdotti da Giuseppe Casucci, Coord. Nazionale Politiche Migratorie UIL e conclusi da Guglielmo Loy, Segr. Confederale UIL. Durante il dibattito è anche intervenuto Fabrizio Molina, presidente di Nessun Luogo è Lontano. Moderatore il giornalista Vittorio Sammarco.

Ci riserviamo di  pubblicare, appena possibile, gli atti dello workshop, qui ci limitiamo ad alcune osservazioni emerse dal dibattito.

Aspetti demografici: da qualche anno assistiamo in Italia ad un fenomeno più complesso e controverso. Mentre negli anni 2000- 2010 la media degli ingressi stranieri viaggiava sui 300/400 mila immigrati l’anno, oggi gli ingressi per lavoro dall’estero – anche a causa del blocco del decreto flussi – si sono ridotti virtualmente a zero, mentre una quota crescente di italiani (specialmente giovani) lascia l’Italia per non ritornare. Negli ultimi tre anni si valuta che almeno mezzo milione di italiani e 300 mila immigrati abbiano abbandonato il Belpaese. Tutto ciò a fronte di arrivi sulle coste italiane di sbarchi, a carattere prevalentemente economico, in realtà diretti in altri Paesi e bloccati in Italia dal meccanismo a collo di bottiglia del Regolamento di Dublino. Tutto ciò alimentato dal protezionismo dell’Europa sull’immigrazione, che con i suoi divieti ha consegnato nelle mani del racket un mercato delle braccia che il Corriere della Sera ha recentemente calcolato in 400 milioni di euro l’anno.

Un quadro nitido della situazione demografica del Paese (tra l’altro concausa della pressione migratoria verso le nostre coste) l’ha data – dopo l’introduzione di Casucci – Ugo Melchionda, direttore di Idos- Centro Sudi e Ricerche, istituzione che redige ogni anno il Dossier Immigrazione. Melchionda ha dipinto un quadro grigio del probabile declino migratorio (ed economico) del nostro Paese: “senza afflusso di immigrati – ha detto – nel 2065 l’Italia perderebbe 14 milioni di abitanti, a causa della bassa natalità. E i cittadini nati all’estero sarebbero almeno 12 milioni. Una simulazione intermedia – che vede un afflusso limitato di migranti – ridurrebbe la perdita autoctona a “soli” 7 milioni. In effetti il progressivo declino delle nascite (circa 470 mila l’anno che scenderebbe a 430 mila in 50 anni) e la riduzione nei decessi porterà ad un calo del 10% della popolazione in età lavorativa con forte aumento degli over 65 ( dal 22 al 33%). Da qui l’assoluto bisogno degli stranieri (che già pagano parte delle nostre pensioni) e la necessità di una maggiore programmazione dei flussi d’ingresso, cercando di attrarre professionalità anche qualificate. Per quanto riguarda le acquisizioni di cittadinanza, ai primi posti primeggiano (nel 2016) tre Paesi di provenienza: Albania, Marocco e Romania. Attualmente un terzo delle cittadinanze concesse riguarda giovani fino a 19 anni, che l’hanno avuta per trasmissione (da genitore diventato italiano) o elezione (a 18 anni).

Situazione attuale

In base alla legge attuale, i cittadini di Paesi terzi possono chiedere la cittadinanza italiana solo se hanno la residenza nel nostra Paese da almeno dieci anni consecutivi (oltre a un reddito certo, una abitazione “idonea” e il regolare pagamento dei contributi negli ultimi 3 anni al momento della richiesta): Bastano invece 3 anni di attesa se si sposa un partner di cittadinanza italiana (periodo dimezzato se ci sono figli). Se invece lo straniero è un ragazzo nato in Italia, deve comunque aspettare il compimento dei 18 anni (e non oltre 19) per fare richiesta. La procedura della cittadinanza per naturalizzazione è in genere lunga e costosa, ma negli ultimi anni con l’introduzione del permesso elettronico e (recentemente) con la diminuzione dei costi di sovrattassa, il numero di cittadinanze accettate è andato progressivamente aumentando. Dal 2014 assistiamo ad un aumento di concessione delle cittadinanze: si tratta in parte dei 700 mila stranieri che furono regolarizzati nel 2003 e che, trascorsi 10 anni, hanno presentato la domanda di cittadinanza.

Cosa succederebbe con l’approvazione della riforma?

Statistiche: Secondo studi di Idos e  della Fondazione Leone Moressa i minorenni stranieri nati in Italia, figli di genitori residenti da almeno 5 anni sono 634mila, che con l’introduzione dello ius soli ‘temperato’, diventerebbe automaticamente italiani. A questi andrebbero aggiunti altri 166mila ragazzi – che beneficerebbero del cosiddetto ‘ius culturae’ – nati all’estero, e che hanno già completato un ciclo di studio in Italia. Per un totale di 800mila potenziali nuovi italiani. A questi andrebbero poi aggiunti circa 55/60mila minori che ogni anno futuro acquisterebbero il diritto a richiedere la cittadinanza.

Aspetti religiosi – E’ facile comprendere che con l’entrata in vigore della proposta di legge, questa avrebbe un impatto importante anche sulla popolazione straniera musulmana, ossia quegli 1,4 milioni di musulmani stranieri attualmente residenti in Italia. Infatti, secondo il Ministero dell’Istruzione, sono circa 300mila i ragazzi musulmani che frequentano il Sistema scolastico italiano, di cui oltre la metà nati da noi. Questi senza aspettare il compimento dei 18 anni, vedrebbero applicarsi lo ‘Jus soli temperato’ e lo ‘Jus culturae’ immediatamente, diventando ipso facto Italiani. Se attualmente i 2/3 dei musulmani in Italia ha ancora un passaporto straniero, con la nuova legge è possibile ipotizzare che nel corso del prossimo decennio, la gran maggioranza dei musulmani stranieri residenti oggi sul territorio sarà divenuta italiana.

E’ questo motivo di preoccupazione per una parte della politica?

Ragione pretestuosa se si considera che la popolazione musulmana non arriverebbe comunque a superare il 2,8% di quella complessiva.

Ci sono poi gli aspetti di carattere socio/culturale: questi ragazzi hanno lo stesso livello di studio degli italiani, le loro famiglie lavorano accanto a noi, sono naturali mediatori culturali tra la nostra società e le loro famiglie (loro sì in gran parte di origine migrante); godono degli stessi servizi e diritti degli altri cittadini, eccetto tre aspetti: non possono votare, non possono muoversi liberamente in Europa, non possono concorrere ad alcune funzioni nella pubblica amministrazione. Obbligarli ad aspettare i 18 anni è una crudeltà che serve solo a farli sentire diversi e discriminati: una condizione che non conviene né a loro, né a noi.

Aspetti amministrativi e burocratici: per chi non è nato in Italia, in ogni caso, il futuro non appare semplice. Fino a che non arriverà ai 18 anni, il suo permesso di soggiorno è condizionato alle sorti della famiglia (cioè se viene meno il lavoro dei genitori rischia di perderlo). Arrivati a 18 anni, questi giovani dovranno trovare un lavoro altrimenti loro stessi rischieranno di diventare irregolari. A differenza di chi è nato in Italia, per loro non vale l’opportunità di accedere alla cittadinanza, se non per naturalizzazione. Possono passare altri anni prima che diventino italiani o possano ottenere un permesso di lungo-soggiornanti.

Aspetti identitari: molti stranieri residenti nel Belpaese scelgono di chiedere la cittadinanza italiana, non perché si identificano nei valori e nella cultura dell’Italia, ma come mezzo per aggirare le strettoie burocratiche della Legge Bossi-Fini, poter viaggiare all’estero, avere accesso a tutti i percorsi di carriera come italiani. Nondimeno, mentre centinaia di migliaia di giovani italiani ogni anno lasciano il nostro Paese alla ricerca di un proprio futuro all’estero, oltre 5 milioni di stranieri scelgono di rimanere e vivere e lavorare accanto a noi. A questi vanno aggiunti 1,5 milioni di nuovi italiani, a cui è stata concessa la cittadinanza negli ultimi 10 anni. Come l’anno avuta? L’analisi dei dati del 2016 (201 mila nuove cittadinanze) dice che il 50% l’ha acquisita per residenza (quindi per naturalizzazione); il 40% erano minori e hanno ricevuto la cittadinanza per trasmissione, da uno dei genitori naturalizzato italiano; infine per un residuo 10% è venuta per diritto di matrimonio. E’ importante che almeno questo 40% di minori creda fermamente nei valori della nostra civiltà.

Ma come va negli altri Paesi?

Negli ultimi 15 anni sono oltre 13 milioni i migranti che hanno acquisito cittadinanza europea. Negli ultimi 5 anni l’hanno avuta oltre  5 milioni. L’Italia è al penultimo posto dopo U.K., Francia, Germania e Spagna, ma ha accelerato molto. Negli ultimi tre anni infatti quasi mezzo milione di stranieri residenti sono diventati italiani: sono i figli della regolarizzazione del 2002/2003 che portò ad emergere 700 mila persone.

La situazione politica

Purtroppo la riforma sembra tutt’altro che in dirittura d’arrivo. Intervenendo al dibattito, il costituzionalista Stefano Ceccanti ha spiegato che anche lo Jus Soli (come altri argomenti) viene usato in Senato come clava per demolire una traballante maggioranza. Ogni giorno questa perde pezzi di sostenitori in Parlamento: da qui la scelta di non porre la fiducia sulla riforma dello Jus Soli per non rischiare la crisi di Governo. Per il docente, lo scontro è di carattere pre-elettorale ed ha a che fare relativamente con la volontà di far guerra ai minori figli di immigrati, quando di far guerra all’attuale maggioranza. Futili motivi certo, giocati sulla pelle di un milione di ragazzi che studiano nelle nostre scuole e saranno il futuro anche culturale della nostra nazione.

Ed è proprio da un lavoro culturale di base che è necessario partire, anche per le ragioni espresse nel suo primo intervento dall’esperto Pietro Vulpiani, che parla di questione antropologica, identitaria: “lavoro da molti anni su questo aspetto– ha affermato con allarme – e trovo sempre più persone, pur colte e tolleranti, che in modo brusco mettono in discussione questo tipo di normativa sullo Ius soli per una sorta di gerarchizzazione dei diritti (prima gli italiani, prima i disabili, eccetera… e poi, forse…)”. E questo si accompagna ad un altro fenomeno, quello della perdita complessiva di senso e valore della cittadinanza anche per i cosiddetti nativi, gli italiani di “prima generazione”. Sarebbe interessante quindi fare questa riflessione, per capire dove si può fare un passo avanti per maturare una proficua accoglienza della legge sullo Jus soli”.

Un lavoro culturale che non può prescindere da due pilastri: la formazione, quindi la scuola e l’informazione, che tanta parte hanno nel generare visioni, significati e simboli (positivi e negativi) nella narrazione contemporanea sull’universo immigrazione. La scuola come principale luogo di mediazione culturale ha tenuto a precisare con forza Noèmi Ranieri, della UIL-Scuola Nazionale, e anche necessaria per costruire una risposta coerente ad una domanda di fondo: “Quale Paese vogliamo e su quali basi vogliamo costruirlo?”. “E’ l’informazione, la comunicazione che genera “percezioni” distorte del fenomeno, che confonde i piani, che occulta le voci (i dati sulla limitata presenza delle voci della società civile nei Tg nazionali sono impressionanti), che non si sa se con il dibattito sullo Jus soli aiuta a corregge le cattive interpretazioni o, piuttosto, le alimenta”. Sono le amare riflessioni di una giornalista esperta del settore come Paola Springhetti.

Facile, quindi, sentirsi porre sempre le stesse domande, ha sottolineato Giulia Perin, avvocato ASGI: non saranno troppi gli italiani a cui “dovremmo” dare la cittadinanza? E non saranno troppi i diritti sociali che questa “concessione” richiederebbe? No, è la risposta immediata, soprattutto considerando che se manchiamo questa opportunità (tanto attesa e mai così vicina dall’essere raggiunta) per loro non ci sarà nessun altro stato giuridico che può risultare alternativo e in grado di evitare una discriminazione insopportabile.

Lo confermano le voci di chi sulla propria pelle ha vissuto e vive questa situazione: Paula Baudet Vivanco, dell’associazione #italianisenzacittadinanza, che dopo lunga attesa ha ottenuto quanto, in un Paese civile, dopo anni di studio e di lavoro, dovrebbe essere naturale, che richiama l’allarme su un’informazione distorta e che troppe volte fa confusione tra la cosiddetta “emergenza migranti” e la “questione cittadinanza”; Simohamed Kaabour, della associazione CoNNGI (Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane), secondo il quale “la riforma serve anche a definire un percorso di integrazione che al momento non c’è”, attraverso un’opera di bonifica del linguaggio, per poter consentire un dibattito civile, accompagnata da un opera di consolidamento del potere di contrattazione. “Forse, afferma, andava fatta prima una battaglia sul diritto di voto, come accade in altri paesi”; e Graziano Halilovich, Presidente Roma-Onlus, che ha messo in evidenza quanta ignoranza esiste sulla vasta comunità di Romanì (presente da tempo in italia) e che senza la cittadinanza (molti sono apolidi) vive con frequenza gravi difficoltà burocratiche con tutto ciò che ne consegue sul piano dell’inserimento e dell’inclusione e sviluppo sociale.

E allora la politica deve tornare, e presto, a fare il suo dovere.

Sollecitata innanzi tutto dal presidente dell’Associazione organizzatrice dell’incontro, Nessun Luogo è Lontano, Fabrizio Molina, secondo cui “abbiamo l’obbligo di esercitare la speranza di ottenere un buon risultato, proprio quando il momento si fa critico, e per questo dobbiamo mettere in campo un vasto movimento di opinione che, a partire da settembre, tenga forte il punto e non faccia dimenticare i passi avanti fatti”. Molina ha lanciato un appello ai presenti: a settembre, quando si riprenderà il dibattito in Parlamento, proveremo a ritrovarci per costruire insieme un documento, o qualcosa che comunque faccia perno su chi crede che questo per cui ci battiamo sia ancora un valore fondante per la nostra democrazia. Così come #Italiasonoanchio e #italianisenzacittadinanza saranno presenti tutti i giorni al Senato per monitorare il lavoro sulla proposta di legge (o la sua assenza).

Gli ha fatto eco Marco Pacciotti, del Coordinatore Forum Immigrazione PD Nazionale, che ha sottolineato quanto sia importante lavorare fino in fondo perché a supporto di questa legge ci sia uno schieramento ampio, trasversale, non di parte, perché i valori fondanti di essa non siano considerati patrimonio di una sola parte, am di tutto il Paese. Una legge perfettibile, uno Ius soli temperato e anche di molto, che non deve fare paura, e che è comunque un grande passo in avanti rispetto all’attuale situazione. Ma in questi ultimi mesi è forse mancata – lo dice con rammarico – la voce della società civile e del mondo intellettuale e dello spettacolo che si era fatto sentire con il sostegno al coordinamento dell’ITALIA SONO ANCH’IO, che aveva portato alla raccolta di 200 mila firme ed alla presentazione di un ddl di iniziativa popolare e poi all’attuale proposta di riforma. Da lì, bisogna ricominciare, sostiene Pacciotti, da quel sentire comune e provare a cambiare il paradigma sulla rappresentanza: <chi non vota non ha diritti, quindi chi vive, lavora e paga le tasse qui in Italia deve poter lavorare ed essere rappresentato>.

E ancora nel suo intervento, l’on. Andrea Maestri: “C’è una cosa un po’ urticante ma anche sfidante che spesso ci dicono: “Voi volete il voto degli immigrati!” Ed io rispondo: “Sì, vogliamo che gli immigrati che vivono, lavorano, pagano le tasse nel nostro paese abbiano anche il diritto di voto.” E questo non perché siamo estremisti di sinistra, ma perché siamo semplicemente e limpidamente coerenti con il costituzionalismo liberale, che esprime un principio fondamentale: no taxation whithout representation. Non comprendiamo perché gli studenti stranieri che per esempio pagano le tasse universitarie come i loro colleghi italiani debbano essere esclusi dal voto. Siamo fedeli al principio di eguaglianza, tanto che ci abbiamo costruito intorno un partito, Possibile. Per questo siamo davvero liberi di parlare di diritti e non di privilegi e concessioni. Siamo pessimisti sulla possibilità di approvazione della legge sullo “Ius soli”, (molto) temperato, perché è stata collocata su un binario morto al Senato. Nondimeno dobbiamo continuare con la stessa energia il lavoro e la battaglia culturale sul tema della società multietnica, dei diritti degli italiani senza cittadinanza, che sono usciti dall’invisibilità ed oggi rivendicano giustamente dignità e riconoscimento pubblico. “È un lavoro culturale che i partiti politici hanno smesso di fare da tempo, limitandosi a declinare contenuti e linguaggi in chiave elettorale e non pienamente politica, lasciando i cittadini in balia delle semplificazioni mediatiche, soli con le loro paure, deprivati di informazione e formazione corrette, genuine, imparziali”. “Fare questo lavoro culturale e politico insieme – ha concluso Maestri – significa fare un percorso che, qualunque sia l’esito, ci arricchisce tutti e fa crescere le nostre comunità, da quelle più vicine a noi alla società complessivamente intesa. E camminare insieme nella stessa direzione è importante perché, come dice un proverbio congolese, le orme di chi cammina insieme non si cancellano mai”.

Conclusioni. A fine incontro, Guglielmo Loy ha riconosciuto che il problema in sé è complesso. Nel corso degli ultimi anni l’opinione pubblica in materia di Jus soli è cambiata notevolmente: Quando come ITALIA SONO ANCH’IO si raccoglievano\ le firme per la presentazione di un ddl di iniziativa popolare in materia di voto e di cittadinanza – ha detto Loy – la gente firmava volentieri per aiutare i bambini stranieri. Erano invece molto più riluttanti a firmare a favore del voto amministrativo agli immigrati”. Un limite, certo, ma poi la situazione del sentire pubblico è peggiorata. “Non è un caso che nel 2011 oltre il 70% delle persone dichiarava di essere favorevole a questa legge, mentre oggi siamo solo al 50%”. Purtroppo, campagne mediatiche all’insegna dell’emergenza immigrazione non hanno aiutato a creare un clima favorevole ed oggi c’è chi alimenta la confusione mischiando i diritti dei minori stranieri ed il dramma degli sbarchi dal Mediterraneo (altrettanto importanti, ma problemi diversi). “Abbiamo promosso questa iniziativa come UIL, assieme ai nostri amici di Nessun Luogo è Lontano, per riflettere a 360 gradi, senza retorica, considerando pregi e difetti della legge, vantaggi e problemi. Dobbiamo considerare i problemi illustrati dal prof. Ceccanti: su questa legge il Governo avrebbe rischiato di cadere e oggi non appaiono esserci le condizioni per una sua rapida approvazione”.

Non possiamo comunque accettare di mettere in soffitta i diritti fondamentali di questi ragazzi, a causa dell’assenza di impegno del Senato che ha tenuta bloccata la riforma per 21 mesi in I Commissione, riducendosi ad operare a fine legislatura.

La UIL è e sarà al fianco di questi ragazzi e dei loro diritti e continuerà a fare campagna per l’approvazione della legge che riforma la cittadinanza”. “La legge 91/1992 è vecchia di 25 anni – ha concluso Loy: a quel tempo gli stranieri residenti erano solo 500 mila, oggi sono 10 volte di più e concorrono a produrre l’8,3% del nostro PIL: lavorano e studiano con noi, pagano le tasse e pagano parte delle nostre pensioni. Il minimo che possiamo fare è quello di eliminare ogni forma di discriminazione. La legge sulla cittadinanza è un nuovo contratto sociale tra Stato e cittadini che scommettono per il futuro dell’Italia”. E allora: appuntamento a settembre.

Scarica l’introduzione di Giuseppe Casucci  https://www.nessunluogoelontano.it/4014


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