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La cittadinanza: una necessaria riforma

by Redazione

Secondo recenti stime, in Italia, la popolazione straniera, attualmente di circa tre milioni, nell’arco di sette anni potrebbe raddoppiare e nel 2015 le nascite straniere potrebbero superare le 100 mila unità.

Ciò accade in un Paese come il nostro, in cui – com’è ormai pacificamente affermato in tutto il dibattito sull’immigrazione – esistono preoccupanti dinamiche demografiche che hanno causato e causano un progressivo invecchiamento della popolazione e un allarmante crollo del tasso di natalità. Scenario, del resto, comune ad altri Paesi europei e che rende sempre più necessario l’afflusso di migranti che con la loro crescente presenza e con differenti politiche familiari mitigano il calo netto della popolazione e sopperiscono alle esigenze del mercato del lavoro nazionale.

Questo esercito di nuovi cittadini, indispensabili alla crescita economica della penisola e all’equilibrio demografico, però, difficilmente gode del pieno riconoscimento di fondamentali diritti.

Un nodo centrale è innegabilmente quello della cittadinanza. Secondo la legge 91 del 92, che si basa fondamentalmente sul principio dello ius sanguinis, secondo cui il figlio nato da un genitore italiano è automaticamente italiano, l’acquisto della cittadinanza italiana per naturalizzazione è previsto solo dopo dieci anni di soggiorno regolare sul territorio nazionale da parte del migrante e in presenza di precisi requisiti di reddito. Lo straniero che nasce in Italia, invece, matura tale diritto al compimento del 18° anno di età, diritto che può esercitare entro un anno e non oltre, essendo l’acquisto automatico della cittadinanza per nascita nel territorio, ius solii, ammesso solo in pochi particolari casi.Ma quanto questa legge è una risposta consona ai profondi cambiamenti che attraversano la nostra società?  L’Italia, ormai terra di immigrazione, paese fortemente condizionato dalle dinamiche migratorie, presenta un volto molto diverso dal passato. Si impongono sulla scena nuove forme di povertà e di esclusione sociale, differenti dinamiche economiche e sociali, diverse esigenze di cui la popolazione straniera rappresenta al tempo stesso la causa e l’effetto e che, soprattutto, interrogano l’intero sistema sulla capacità di gestione del fenomeno.In questo mutato scenario, non sembra che la vecchia e farraginosa legge sulla cittadinanza sia in grado di rispondere adeguatamente alle rilevanti e incessanti trasformazioni. La revisione in materia di cittadinanza è, quindi, imprescindibile e improcrastinabile; una riforma che deve essere finalizzata a rendere più flessibile il sistema di acquisto della cittadinanza italiana secondo il principio dello ius soli nonché a ridurre il periodo di tempo necessario per l’acquisizione e a rendere maggiormente espliciti e ben definiti i requisiti per la naturalizzazione. In un contesto in cui la mobilità rappresenta un fenomeno strutturale, in una società sempre più multietnica e multiculturale e in continua trasformazione, non ha più senso ancorare i diritti di cittadinanza alla sola nazionalità di nascita. Una normativa, inoltre, che deve legare l’acquisto della cittadinanza alla effettiva partecipazione degli individui alla vita economica, sociale e politica del Paese oltre che al rilevante apporto di ciascuno allo sviluppo della comunità in cui vive. Ovviamente un’azione questa che deve inserirsi in un più ampio quadro di riforme e di politiche sociali di sostegno volte a colmare il gap delle opportunità d’accesso e a creare una generale condizione di uguaglianza sostanziale.

12 aprile 2006


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