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Oggi e domani gli “Stati generali” del Terzo Settore

by Redazione

In quest’ Italia acciaccata e sofferente, vilipesa e poco difesa, molto umiliata e molto più offesa, di una buona notizia c’era bisogno come d’acqua di salvezza.

Ce la dà il “terzo settore”, una specie di luogo dell’anima e della società che porta a Roma oggi e domani un bel po’ di persone a parlare dei propri problemi e di uno Stato se non nemico, dispettoso.
Cos’è il terzo settore? Per dirlo ci vorrebbe Veltroni che probabilmente lo definirebbe così: “una casa che tiene insieme i volontari “ma anche” i lavoratori del sociale, le straordinarie cooperative “ma anche” le figlie di Maria, la generosità “ma anche” l’efficienza. Facciamo finta per un attimo di aver capito e andiamo avanti.
Per la riunione che comincia oggi, gli organizzatori hanno scelto il basso profilo e la sobrietà, definendola “degli Stati Generali”. Accipicchia! Meritoriamente l’adunata è seguita e affettuosamente divulgata dal Corriere della Sera che, secondo me, voleva dare l’annuncio ieri e stop e che invece è stato costretto a tornarci oggi in prima pagina scomodando addirittura le firme di Giangiacomo Schiavi e Marco Vitali; un po’ come se il festival della polpetta venisse commentato da Umberto Eco, per capirci. C’è dovuto tornare, secondo me, per l’articolo di Lorenzo Salvia di ieri che ne dà, del tutto involontariamente, l’immagine appropriata e triste di uno straccione lamentoso sempre lì a piangere soldi, che si tratti di cinque per mille o di manodopera gratis come il servizio civile, senza minimamente sentirsi in dovere di offrire una proposta organica di autoriforma.
Se mi è consentito vorrei dire, sommessamente, la mia.

L’evoluzione delle società occidentali, la rivoluzione tecnologica, l’esplosione demografica e le migrazioni, stanno determinando, insieme ad altre cause minori, un restringimento delle possibilità di accesso ai beni primari e secondari e l’insorgenza di bisogni inediti e nuove povertà anche all’interno delle società agiate, che vedono crescere le ricchezze di pochi e simmetricamente ridursi  per molti le possibilità di sopravvivenza. Il mito del welfare dalla culla alla bara, purtroppo, non tiene più e più nessuno può garantirlo, se non mentendo spudoratamente. Tra le cose buone che i poteri statuali dovrebbero fare nella elaborazioni delle proprie azioni di policy, c’è senz’altro quella di costruire buone politiche di solidarietà, sussidiarietà, servizio alle persone. E non dovrebbero farlo in un’ottica contingente, ma secondo criteri di politica economica e di programmazione che non vanno inventati, perché ci sono. Ma a priori occorre avere il coraggio di stabilire strategie di programmazione, di flusso di denaro, di formazione, ricerca e innovazione, che rendano quei servizi alla società debole, efficienti e responsabili; perché quando si spende pubblico denaro a fin di bene, non vuol dire che non si debba anche spenderlo bene. Sempre a priori, occorrerebbe stabilire che alle maggiori certezze sui sistemi di finanziamento che rendano possibili strategie di periodo e formazione permanente, deve fare pendànt la trasparenza di gestione, l’efficienza manageriale, la indipendenza da un lobbismo che, nel caso italiano, non è solo fondato sull’appartenenza politica ma anche religiosa. Mi trovo dunque perfettamente a mio agio con le analisi di Schiavi e Vitale e da modesto operatore sociale li ringrazio soprattutto per la parte finale del loro articolo in cui sostengono che anche il terzo settore deve rinnovarsi e, non solo lo Stato. Li ringrazio cioè per quella parte per cui invece gli organizzatori della due giorni, non li ringrazieranno purtroppo. Non sarà dicendo che il Terzo settore è bello perché è buono che lo si salverà.

Vi sarebbero per finire due argomenti di cui mi piacerebbe occuparmi: primo, l’ambiguo utilizzo che si fa del termine “volontari”, che quasi sempre mischia una libera e sana scelta di come destinare il proprio tempo liberato, con chi ha scelto di vivere di questo non facile lavoro e lo fa con salari da caporalato di Villa Literno; secondo, l’insopportabile vecchiezza della classe dirigente in genere e di quella del terzo settore in specie, che in qualche caso e per qualcuno tra di loro ha anche una storia, magari una buona storia, ma ormai completamente dietro le spalle. Ma di questo, magari, parleremo un’altra volta.

Fabrizio Molina

4 dicembre 2009


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