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Sul Crocefisso in classe

by Redazione

Non ho ritenuto utile, dopo la sentenza della Corte europea sul mantenimento del simbolo cristiano nei luoghi pubblici, dire subito la mia. Non l’ho fatto per almeno tre buoni motivi, il terzo dei quali mi obbliga a farlo ora.

In primo luogo ho pensato che il mondo possa andare avanti benissimo senza i miei pareri; non sono mica Vittorio Feltri che se non ci spiega ogni momento la realtà ci fa venir voglia di toglierci la vita. Secondo, era scontato che, a sentenza avvenuta, insieme a due o tre punti di vista intelligenti, ci fosse uno scroscio raggelante di idiozie. Idiozie che avrebbero bisogno, quelle sì, di una bella riforma della giustizia: un reato nuovo, contro l’imbecillità, che però farebbe scoppiare le carceri ancor più di oggi. Terzo e decisivo motivo della prolungata astensione dal giudizio, è stata la forte sensazione che erano sì state dette una valanga di scemenze, ma ne mancasse una, la peggiore, la più plastica; insomma la tempesta perfetta.

Ci voleva però un personaggio adatto, di quelli bravini a fare il loro mestiere, desiderosi di parlare di tutto e che di tutto parlano male, da incompetenti, in modo approssimativo. Mi aspettavo insomma che di Crocefisso e integrazione, parlasse uno del tutto inidoneo a farlo; uno tipo Umberto Eco quando parla di politica, o alla Alba Parietti quando riflette sul 68, o uno come Veltroni quando parla di sistemi politici o, peggio ancora, scrive libri. Sapevo che era solo questione di tempo.

Un giornalista perfido ha compiuto il miracolo. Ha braccato in centro di Roma nientemeno che la splendida Penèlope Cruz a passeggio con Pedro Almodovar. Indovinate un po’ a chi ha chiesto un parere sulla delicata questione? Ad Almodovar, dimostrando una cattiveria imbarazzante. Come se non si sapesse che il buffo regista spagnolo altro non sa che qual poco che sa, lo va a sfrucugliare su una questiona così al di sopra di lui. E Pedrito gli molla là un paio di idee mica male: la prima è che nei suoi film non ci sono mai simboli religiosi e così dovrebbero far tutti i registi. Due, che se nelle classi o nei tribunali devono proprio metterci dei simboli, che almeno siano quelli di tutte le religioni. Non c’è nulla da fare: gli artisti sono sempre avanti. Chi ci avrebbe mai pensato!

A questo punto ho ritenuto che il mondo dovesse sentire la mia: se crediamo che la fede sia amore e perdono, allora dobbiamo mettere solo i simboli cristiani, icone perenni che ci diano dei motivi per sopportare quelli come Almodovar; se, invece, parteggiamo per una fede che punisce gli infedeli e soprattutto i fessi, meglio altri simboli, così Almodovar impara.

In conclusione, credo che nessuna integrazione, nessun rispetto, nessuna convivenza si realizzino se una delle identità si fa debole per compiacere l’altra; anzi l’evanescenza genera mostri di fondamentalismo e violenza. L’incontro, per quanto faticoso, è sempre un cammino, dove due o più persone si incontrano dopo aver entrambe, compiuto un pezzo di strada. Talvolta mi capita di pensare che l’indifferentismo religioso non nasca dalla voglia di rispettare l’islam, ma dai falli di frustrazione di certa intellettualità europea, che della laicità ha dimenticato tutto, invecchiando male nelle proprie idee e sulle proprie sconfitte.

Fabrizio Molina

9 novembre 2009


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