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Tutti i miei Auguri

Quando al momento di costituirci decidemmo di chiamarci Nessun Luogo è Lontano, nessuno di noi immaginava quanto quel nome ci somigliasse e quanto noi saremmo somigliati a lui, per tutti gli anni a venire. Abbiamo capito con il tempo che quel nome non era una divisa ma la nostra uniforme, qualcosa che ci univa in una visione della vita più che in un programma politico; univa proprio noi che, presi singolarmente, non se ne trova uno simile ad un altro, nemmeno a mettercela tutta.
A pensarci abbiamo corso però un rischio terribile: se per nome ti scegli una sigla, chi vuoi che te ne chieda conto? Ma se il nome che ti dai è un orizzonte ideale verso il quale andare, o cammini verso di lui per tutta la vita, ogni singolo giorno, oppure quello che accade è che non reggi e prima o poi si vede.
Lo dirò senza girarci intono: noi abbiamo retto. Errori? Certo. Avremmo potuto essere migliori? Sicuro. Ma gli errori che abbiamo commesso e commettiamo non hanno mai messo in discussione ciò che siamo e in cosa crediamo. Ciò che crediamo è lì, davanti agli occhi di tutti e tutti possono vederlo. E ci crediamo senza mai esserci nascosti dietro una fede, un credo politico, né altro. Intendiamoci: abbiamo convinzioni morali, etiche e politiche molto forti; talmente forti che non dobbiamo scomodarle per essere credibili. Se sbagliamo, sbagliamo noi, se facciamo bene, lo stesso, senza esaltarci né deprimerci.

Questa è stata ed è la nostra storia: Nessun Luogo è Lontano: è più chiaro ora, perché ci chiamiamo così?
Quando ci incontriamo con le persone, mentre da qualche parte nevica o fiorisce la mimosa e ci auguriamo Buon Natale o Buona Pasqua, non ci poniamo il problema se coloro che ci fanno e a cui facciamo gli auguri credono che si festeggi la nascita del Figlio di Dio o la Sua Resurrezione dopo le atroci sofferenze del tradimento prima che della morte di Croce.
Non ce ne preoccupiamo perché gli auguri sono per tutti. Per tutte le donne e gli uomini di buona volontà. E crediamo di dover ragionare così; presentandoci sulla scena senza la bardatura di ciò che siamo ma nella nudità di ciò che vorremmo essere, consapevoli che la fede che abbiamo o che non abbiamo o a qualunque fede sia, non è dovuta alla diversità di Dio, perché non c’è un Dio giusto e uno sbagliato, c’è semmai che siamo donne e uomini in cerca della verità.
Una verità che nessuno ha più di altri, che è troppo più grande della nostra possibilità di comprenderla e della quale a volte cerchiamo, sbagliando, di farci un’idea riducendola ad una appartenenza contro tutte le altre appartenenze.
Un grande teologo contemporaneo, di cui consiglio la lettura, Vito Mancuso, scrive: « la verità la luce. E se noi siamo qui, se ha un senso il nostro essere qui sulla Terra, è per consegnarci alla verità, per servirla, ospitarla in noi e permetterle di purificare la nostra interiorità».
E la verità che cerchiamo non è acquisita se non dalla certezza di essere donne e uomini alla ricerca.
Se questo è vero, e io credo sia vero, non c’è modo né spazio per altre divisioni tra esseri umani. Mi spiace, ma per quanto io ci abbia provato, non riesco a vedere in chi è diverso da me, da ciò in cui credo e ho sempre creduto, qualcuno di diverso davvero. Tantomeno un nemico. Non riesco a vedere nella diversità l’incompatibilità, la piccola patria, la linea di confine e, in ultima analisi, il fronte; perché il fronte indica ed allude alla guerra e nessuna guerra può essere giusta né condotta in nome di alcun Dio.
Viviamo delle stesse gioie, della stessa ricerca, delle stesse ansie, soprattutto delle stesse speranze.
Capisco possa risultare comodo dividere il mondo in quadranti, in trincee, in amico – nemico. Ma la storia, caparbia com’è, ci dice che la guerra, ogni guerra ha in sé la tragedia ridicola di un fallimento. Allora si potrebbe evitare questo gioco al massacro, perché porta lutti e infinito dolore?

Io credo che dovremmo essere stanchi di guerra, stanchi di odiare come se quell’odio ci desse una speranza di vita invece che essere la negazione di ogni forma di vita.
Domani è Pasqua che, tra l’altro, è una festa ebraica, quindi c’è poco per noi cattolici da mettere bandierine; presto verrà il Ramadan e poi un sacco di altre feste. Naturalmente non penso che sia tutto indifferente o uguale, niente lo è, ma se appartenere vuol dire essere contro, il mio amico sarà sempre e solo il più debole e non mi importa dove si collochino quelli che dovrebbero pensarla come me. La fede che ho abbracciato mi insegna questo o, almeno, questo io ho capito.
L’augurio che rivolgo a tutti voi è questo: uscire meglio di come ci siamo entrati in questo immane macello della pandemia; piangendo i morti perché non ci sono più e non perché sono i nostri morti. Gioire per chi ce l’ha fatta e per chi nasce, perché ce l’ha fatta e perché è nato, non perché nostro.

Auguro insomma una vera Resurrezione e, se dovesse avvenire, non dico che la pandemia sarebbe stato un bene ma saremmo stati bravi noi tutti a farne scaturire qualcosa di buono.

Fabrizio Molina

Sabato, 3 aprile 2021

Foto di Uwe Driesel da Pixabay


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