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WHERE IS MY VOTE?

by Redazione

Come nel ’68 a Praga, come nel ’89 a Piazza Tienanmen così oggi a Teheran i nostri figli iraniani di vent’anni vengono illusi prima e abbandonati subito dopo.
Che il voto a Teheran sarebbe stata una farsa lo sapevamo, che agli ayathollah non avrebbero mai permesso che le loro mire sull’atomica, le loro smanie di egemonia nella Regione e la loro modernissima sete di affari petroliferi che brucia le bocche segnate dalle preistoriche barbe, potesse venire a patti con la modernità, era una questione pacifica.
Quello che ancora una volta abbiamo sperato guardando quelle ragazze e quei ragazzi che innalzano cartelli in inglese per parlare al mondo, era che l’occidente laico, evoluto e moderno, che ha la libertà nei propri codici e nelle proprie costituzioni, non si voltasse dall’altra parte.

L’Occidente delle pari opportunità, delle parità tra i sessi della multietnicità e del melting – pot, del libero Stato e dell’uguaglianza, della libertà e della fraternità non si girasse a guardare altrove.
Così sta accadendo invece, ancora una volta.
Non so se questa orrenda realpolitik possa essere temperata o frenata, ma se una possibilità esiste essa viaggia sulla rete ed è alimentata dai blogger e da facebook; essa può solo sperare che il linguaggio dei giovani di Teheran buchi la cappa gelatinosa dei vecchi occidentali, la superi, la stringa all’angolo e predisponga i suoi gerontosauri nelle migliori condizioni per essere spazzati dalla storia.

Questo dunque è il momento di dieci, cento, mille piazze telematiche, quelle che non c’erano a Praga e non c’erano a Piazza Tienanmen e che ci sono oggi.
E oggi quelle piazze possono cantare, come allora Dylan e Joan Baez, di una libertà che magari non arriva, ma in cui non si vuole smettere di sperare.

Fabrizio Molina

(17 giugno 2009)


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