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Brescia, il buono bebè e noi

by Redazione

E’ ufficiale. Il comune di Brescia vara un buono bebè, da attribuire alle famiglie in disagio economico, pari a mille euro. Ne potranno far richiesta anche i nuclei che in disagio non sono e il cui reddito non superi gli 80/90 mila euro all’anno. Ciò che non può essere superato è però il tetto dello stanziamento previsto: 1 milione e 250 mila euro, raggiunti i quali il contributo deve per forza fermarsi. Dunque saranno raggiunti dallo stanziamento i poveri (tutti), i non poveri (in parte), gli immigrati (mai). Il sindaco Adriano Paroli, di fronte alle contestazioni di alcuni, soprattutto del vescovo Monari, spiega che gli immigrati fruiscono già a dismisura di denaro pubblico. Asili, centri giovanili, servizi sociali. Occorreva riequilibrare secondo lui.
Ci sono alcune cose, in vicende come questa, che colpiscono molto e non sono necessariamente le prime che si notano. Xenofobia, sottile razzismo, insensibilità sociale, sono accuse che non fanno alcun male a chi le riceve che anzi non di rado ne va fiero e le esibisce come un fazzoletto verde, come una medaglia all’onor patrio. E, così mi pare almeno, serve ormai a poco anche sollevare questioni etiche, politiche, educative per impedire a certi comportamenti di fare proseliti. Voglio dire che dare del fascista al sindaco di Brescia per aver escluso i neonati immigrati dal pubblico intervento comunale, gli farebbe male quanto bruciagli le dita con un bicchiere di tè freddo; preoccuparsi poi di spiegare ai giovani e ai meno giovani di quelle terre quanto sia sbagliato cedere quote di coscienza a certa gente, è come chiedere ad un adolescente se preferisce per Natale l’ultimo Nintendo DS o un dvd con un film muto. Sappiamo già la risposta.

Dunque ciò che dovrebbe venire in mente è altro: se nel Nord, in Lombardia, nel bresciano, c’è ancora qualcuno che sappia cosa vuol dire stare al mondo e che ancora trovi un senso in ciò che fa, perché non si intenta una gigantesca vertenza giudiziaria al Comune? Un ricorso e poi lo si firma: Acli, Cgil, Cisl, Uil, Arci, Ufficio legale della Rifondazione Comunista, dei Comunisti Italiani, dei Verdi, dell’Arcobaleno, di S. Egidio, persino del PD? Se non si è troppo impegnati a portare a casa la sanatoria per le badanti (sindacati + Acli e Arci, ecc.), o a trovarsi uno stipendio (i trombati dell’arcipelago comunista), o a trovare strategie da Risiko per espugnare il fortino di Villari alla Commissione di Garanzia della Rai (PD), potrebbe non essere una cattiva idea. Ingaggiare una feroce battaglia legale contro la multinazionale del terrore e dell’imbecillità che vellica gli istinti peggiori della bestia umana operando sul suo smarrimento legato all’ignoranza abissale e alla crisi del tempo presente, promettendogli che tornerà felice e prospera se berrà sangue, lacrime e dolore degli immigrati. Ingaggiando una battaglia che, come dovrebbe essere in battaglia, si può vincere e si può perdere. Riprovando l’ebbrezza, dimenticata da anni, di fare una battaglia non taroccata da un risultato che si conosce prima. E sulla battaglia legale provare a costruire una gigantesca e stavolta credibile battaglia politica, in cui i cittadini di buona volontà, per una volta saprebbero che gira ancora un po’ di coraggio e di passioni forti. Per evitare figuracce a chi potrebbe obiettare “perché non cominci tu…”, rammenterò (con dovizia di documentazione), che Nessun Luogo su un provvedimento identico, ma meno cretino, fece, insieme ad una gagliarda associazione di consumatori, una battaglia nazionale, durante il precedente governo Berlusconi. La facemmo e la perdemmo e la rifaremo stavolta. E non perdemmo solo per la protervia della destra – che pure ci fu – ma per la codardia delle anime belle, di quelli che ho citato prima e da cui non ce lo saremmo aspettato. Macchie come quella non si cancellano, però avreste modo di non perseverare.

Fabrizio Molina

(24 novembre 2008)


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