Giovani e Periferie: che fare?
by Redazione
Posted on Dicembre 4, 2013
di Fabrizio Molina
Su giovani e periferie si giocherà il nostro domani: la sua qualità, la possibilità di un reale cambiamento ma in fondo molto di più, l’eventualità stessa di avere un futuro. Cosa tiene insieme giovani e periferie? Non saprei se tutti abbiamo chiaro in testa che la vita è vita giovane e dei giovani ed essa non si radica nei cimiteri monumentali dei centri storici, buoni per i turisti in cerca di emozioni “tutto compreso”, ma scorre verso le periferie, dove ci sono le famiglie giovani e perlopiù precarie, gli immigrati, i centri anziani, i mercati rionali, le borse della spesa ricolme, gli autobus strapieni che fanno imprecare. C’è la vita insomma. Difficile, incasinata, delinquente a volte ma la vita.
Ricordo come fosse adesso che Blair, quando ancora governava il Regno Unito, affermò che le periferie londinesi erano irrecuperabili e lo Stato doveva smettere di investirci. Detesto il cinismo pragmatico, soprattutto quando è di sinistra. E pensare che in Italia c’è ancora chi si ispira al fondatore del nuovo Labour … da non credere.
Soldi ne girano pochi, è vero, ma se avessimo un po’ di cervello dovremmo investirli quasi tutti su politiche giovanili e delle periferie. Prendiamo i giovani: c’è bisogno di una scuola che serva, del lavoro da creare e da distribuire, di incentivi e motivazioni per quelli bravi a non andarsene. Non ci va di farlo? Benissimo, poi però non ci lamentiamo che in Italia abbiamo un’età media come quella di Matusalemme e che qui i ragazzi non è che fuggono, nemmeno vogliono nascere. L’Italia è un popolo in menopausa.
Le periferie. Prendete Roma, che conosco un po’ meglio, ma vale per Napoli, Palermo, Bari, Milano, Torino e tutte le altre. A volte c’è da aver paura a passeggiare per Torbellamonaca, Laurentino 38, Torpignattara anche alle due del pomeriggio, figuriamoci di notte. Ma la vita è lì. Nel centro città ci sono traffico, qualche ufficio, qualche parlamentare, non la vita. Se lì non ci sforziamo di inventare qualcosa che non porti carità e nemmeno solidarietà ma voglia di emancipazione, di riscossa sociale, di rivoluzione pacifica, siamo cotti, finiti. La strada indicata tanto tempo fa da Blair fa oggettivamente schifo e quella delle mense, dei dormitori, dei pacchi viveri, dei “pronto nonni”, è più insidiosa da giudicare ma pur non facendo schifo, non deve piacerci. La possibilità di un futuro non ce la giochiamo sull’assistenza ma su un protagonismo nuovo. So bene che se un uomo ha fame e freddo, va soccorso, coperto, sfamato, ma so che non c’è niente che crei dipendenza eterna come un pentolone di minestra calda e un tozzo di pane…
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