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La morte in mare, che stronca il sogno di libertà

by Redazione

Dal 1988 quasi 20 mila morti nel tentativo di raggiungere l’Europa. A denunciarlo è Fortresse Europe che da 26 anni tiene il macabro conteggio delle vittime africane, fuggite dal proprio Paese in cerca di un futuro migliore ed il cui sogno si è infranto nelle sabbie del Sahara o tra i flutti di quello che dovrebbe essere il mare Nostrum. Basterebbe cambiare la Convenzione di Dublino per mettere fine a questa ecatombe.
di Giuseppe Casucci

I titoli dei giornali e delle breaking news, fanno a gara nel contare quanti siano i boat people sbracati ogni giorno, pronti ad alzare la voce sul collasso delle strutture di accoglienza, ad agitare una supposta “emergenza” (che è invece una realtà che ormai dura da anni), e a richiamare l’Europa all’obbligo di solidarietà e ad una politica dell’immigrazione da gestire collettivamente come Unione.
Molti meno sono quelli che fanno attenzione alla provenienza di quelli che sono in realtà profughi (scappando da zone di guerra come la Siria, l’Iraq, il Sudan e la Somalia) ed ancor meno si pensa al conteggio di quelli che non sono riusciti ad arrivare: non perché non sono partiti da casa o sono stati fermati in Nord Africa, ma perché sono morti nel deserto del Sahara o in fondo al Mar Mediterraneo.
Forse un giorno a Lampedusa, l’ipocrisia ci porterà a costruire un sacrario per onorare le povere anime morte in mare, ma nella nostra coscienza resterà il dubbio pesante che forse qualcosa poteva essere fatto per evitare quelle morti, cercando soluzioni politiche concrete, invece che agitare l’illusione di costruire inutili barriere.
Giorno per giorno, da anni, il mare di mezzo è divenuto una grande fossa comune, nell’indifferenza delle due sponde del mare di mezzo. Certo l’operazione Mare Nostrum sta salvando migliaia di persone, ma neanche questo pregevole sforzo dell’Italia riuscirà mai ad essere esaustivo.
Il sito Fortresse Europe dal 1988 ha cercato di mantenere la contabilità (certo per difetto) di quanti sono scomparsi nel tentativo di arrivare sulle coste europee o anche solo di attraversare l’immenso deserto sahariano.
Secondo Fortesse Europe, dal 1988 sono morte lungo le frontiere dell’Europa almeno 19.812 persone. Di cui 2.352 soltanto nel corso del 2011, almeno 590 nel 2012 e 801 nel 2013. Il dato è aggiornato al 30 giugno 2014 e si basa sulle notizie censite negli archivi della stampa internazionale degli ultimi 26 anni.
Nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico verso le Canarie sono annegate 14.883 persone. Nel Canale di Sicilia tra la Libia, l’Egitto, la Tunisia, Malta e l’Italia le vittime sono 7.314, di cui 5.360 dispersi. Altre 229 persone sono morte navigando dall’Algeria verso la Sardegna. Lungo le rotte che vanno dal Marocco, dall’Algeria, dal Sahara occidentale, dalla Mauritania e dal Senegal alla Spagna, puntando verso le isole Canarie o attraversando lo stretto di Gibilterra, sono morte almeno 4.910 persone.
Poi ci sono le persone che viaggiano anche su traghetti e mercantili, spesso nascoste nella stiva o in qualche container, ad esempio tra la Grecia e l’Italia. Ma anche qui le condizioni di sicurezza restano bassissime: 191 le morti accertate per soffocamento o annegamento. Le ultime 30 proprio due giorni fa nel Canale di Sicilia.
Per chi viaggia da sud il Sahara è un pericoloso passaggio obbligato per arrivare al mare. Il grande deserto separa l’Africa occidentale e il Corno d’Africa dal Mediterraneo. Si attraversa sui camion e sui fuoristrada che battono le piste tra Sudan, Chad, Niger e Mali da un lato e Libia e Algeria dall’altro. Qui dal 1996 sono morte almeno 1.790 persone. Ma stando alle testimonianze dei sopravvissuti, quasi ogni viaggio conta i suoi morti. Pertanto le vittime censite sulla stampa potrebbero essere solo una sottostima. Tra i morti si contano anche le vittime delle deportazioni collettive praticate dai governi di Tripoli, Algeri e Rabat, abituati da anni ad abbandonare a se stessi gruppi di centinaia di persone in zone frontaliere in pieno deserto. In Libia si registrano gravi episodi di violenze contro gli stranieri.
Ci si chiede: se sono soprattutto potenziali richiedenti asilo quelli che attraversano il mare, mettendosi nelle mani di trafficanti ben organizzati ed al prezzo di migliaia di euro, perché questa povera gente corre rischi addirittura mortali?
La risposta è molto semplice: il diritto d’asilo in Europa è governato dalla Convenzione di Dublino. Secondo questo dispositivo la richiesta d’asilo non può essere fatta dall’estero: per presentare la domanda, bisogna prima mettere piede in un Paese europeo. Inoltre, una volta identificati dalle autorità del Paese in cui si sbarca e fatta la richiesta d’asilo, si dovrà rimanere obbligatoriamente a vivere in quel Paese, a domanda accettata. Se un potenziale richiedente asilo vuole andare in Germania, Francia o Belgio dove ha parenti, dunque farà di tutto per non essere identificato in Italia.
A queste condizioni diventa inevitabile mettersi nelle mani dei trafficanti, magari contraendo enormi debiti di cui la loro famiglia deve farsi garante. E’ questa la logica che ha portato migliaia di persone a morire inseguendo un sogno.
C’è un modo molto semplice per evitare le stragi, per chi tiene davvero a salvaguardare le vite umane.
Basterebbe permettere a chi cerca asilo, di fare la domanda in un Paese di transito (presso un’ambasciata o l’UNHCR) e non ci sarebbe bisogno di pericolose traversate. Inoltre, in questo modo, si potrebbe presentare la richiesta da subito alla rappresentanza diplomatica del Paese che si è scelto.
Tutto questo, naturalmente, contraddice la Convenzione di Dublino ed è forse per questo che l’Europa punta i piedi e non intende concedere deroghe. Magari le autorità dell’Unione sospetteranno i Paesi europei costieri di voler scaricare il problema degli arrivi ad altri Stati.
Speriamo vogliano prima o poi fare i conti con la propria coscienza.


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