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“LE URLA DI CHI GRIDA NEL DESERTO”

Partiamo da questa premessa: da un articolo tratto dal sito di AFRICA EXPRESS: “La carneficina in Tigray, una suora conferma atrocità e stupri”, di Cornelia Toelgyes, 16 maggio, 2021; per poi riflettere sul nostro possibile (e necessario) coinvolgimento

di Riccardo Netti

La religiosa si occupa soprattutto degli sfollati, vive a Makallé, il capoluogo del Tigray e cerca di portare aiuti a coloro che si trovano in tende o in altri alloggi precari sia in città che nelle zone limitrofe.
“Tutti sono in condizioni precarie, dormono in 40-60 in una stanza e per 3-4mila persone ci sono solamente 4 bagni per gli uomini, altrettanti per le donne. Manca l’igiene anche per mancanza di acqua. Per non parlare di cibo e medicinali, che sono davvero una rarità in questi tempi”, racconta la suora.
E la sua conversazione con la giornalista continua: “Gli stupri sono all’ordine del giorno. Si consumano velocemente, in pubblico, anche di fronte ai familiari. Da quando mondo è mondo sono armi da guerra ripugnanti; ancora oggi i militari eritrei e etiopici non prendono nemmeno in considerazione l’età delle vittime, si inizia con le bambine di otto anni fino alle ultrasettantenni. Impossibile solo immaginare che un essere umano possa commettere tali crimini, mi chiedo spesso chi abbia formato, addestrato questi soldati. La popolazione civile paga il prezzo più alto di questa guerra, ovunque mi giri, vedo dolore: saccheggi, scontri, violenze omicidi, molestie, brutalità senza pari. Siamo isolati dal resto del mondo, soli e abbandonati”.
E infine la coraggiosa suora di Makallé lancia un appello al mondo intero: “Tutti dovrebbero alzarsi in piedi e condannare a gran voce ciò che sta accadendo nel Tigray. Basta uccidere civili, stuprare le donne”.

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E qui cominciano le riflessioni: La Bibbia è davvero profeta? Le urla di chi grida nel deserto!
Come è possibile accettare tutto questo? Come è possibile sentirsi se non indifferenti impotenti? Forse perche siamo certi che “Qualcuno” prima o poi interverrà per porre fine a tutto questo.
Se pensiamo, in modo analogo rimaniamo distratti di fronte al fatto che stiamo distruggendo lentamente il nostro pianeta con i “nostri” comportamenti. Ancora è così.
Abbiamo forse smarrito il significato del bene comune. Siamo tutti egocentrici, come un bambino che vive con naturalezza la fase fisiologica del proprio egoismo. Poi, però, il bambino cresce. Eppure, rimaniamo circoscritti davanti ai nostri problemi.
Potremmo ricordare, invece, cosa abbiamo provato nella nostra adolescenza quando ci avvicinavamo e scoprivamo i problemi del sociale, della comunità ed il piacere di interessarsi.
Se approfondiamo, il mondo ha bisogno di tutti non solo di chi appartiene alla propria nazione.

Pensiamo ad esempio a noi in Italia.

Immaginiamo: se in un solo attimo, spegnessimo metaforicamente un interruttore e tutti i “non italiani”, tutti gli immigrati, sparissero? Ci troveremmo di fronte ad una crisi esistenziale generale della vita quotidiana di ognuno, fatta di lavori non presi in considerazione neanche dai disoccupati, di aiuti agli anziani e ai malati che sparirebbero, di lavori umili che nessuno vuol fare più, ma che permettono a tutti noi di andare avanti.

Ecco: ci accorgiamo che abbiamo bisogno di tutti nessuno escluso.

Perché ognuno di noi ha bisogno degli altri, della comunità fatta di persone di ogni colore, di ogni razza, di ogni provenienza.
La verità, la “vera verità”, è che tutti devono vivere nel rispetto delle regole civili. Questo è il punto. Solo questo. Quindi non conta chi siamo e da dove veniamo!
Nel momento storico che stiamo vivendo, credo sarebbe necessario essere più protagonisti nel presente, interessarci, agire anche nel proprio piccolo.
La politica, il messaggio politico nasce da questo. Dall’interessamento ad un problema, ad una situazione. Sarebbe bello ritrovare il senso di un impegno personale, non fatto solo di testimonianza rinchiusa nel proprio ambiente.
Qualcuno di “noi” deve ritrovare l’entusiasmo e la speranza di poter influire non solo nella sensibilizzazione. Ritroviamo la passione di discutere in modo costruttivo di certi argomenti. Si potrebbe arrivare così a contattare i politici “che contano” quelli che possono influire. Arriviamo a quei politici, che per la loro carica, risultino il tramite di un’idea, di un’influenza, di un progetto. Qualcosa accadrà. Forse il “politico che conta” alla fine non è così irraggiungibile.

Provare è meglio che non far niente.

Non deleghiamo i pochi che si dedicano come il Papa a richiamare l’attenzione per le aree che stanno soffrendo per guerre, carestie, violenze o soprusi. Non commuoviamoci davanti a lui; ascoltiamolo ma non plaudiamo per riverenza. Non facciamolo. Non serve. Invece: diamoci da fare!
Perché? Perché è assurdo vedere come connazionali che vivono poco distanti dai propri “fratelli”, non sappiano cosa sta causando un conflitto come quello nel Tigray o evitino di parlarne; è assurdo che gente della stessa appartenenza ad una nazione, affermi che i Tigrini, “non meritino di nascere”; è assurdo che un capo di una nazione promuova un conflitto per motivi politici e che tale conflitto si trasformi solo in azioni e crimini di guerra in un clima di silenzio e assenso. È assurdo che una nazione sia in grado di realizzare una guerra perché comunque “coperta” da interessi di altre grandi potenti nazioni. È assurdo sapere che anche noi italiani abbiamo delle gravi responsabilità in questo conflitto perché forniamo armi al governo etiope.

Non si può condividere o prendere parte di una guerra “distante” da noi?

Ma allo stesso modo non bisogna accettare che a farne le spese siano civili incolpevoli. Sembra semplice questa affermazione; ma se pensiamo che anche in Italia ci sono migliaia di etiopi spesso in forte contrasto sulla realtà di quello che sta accadendo, la strada da fare è ancora lunga.
Mentre scrivo, gli Stati Uniti d’America si stanno interessando al conflitto in Etiopia; stanno facendo pressioni e prospettano sanzioni pesanti. Ho visto un servizio su Rai news 24 ed ho appreso che molti cittadini “italo-etiopi” sono scesi in piazza sia a Milano che a Roma per manifestare. Ecco, quindi che anche in Italia si aprono nuove vie di sensibilizzazione al problema; bisognerebbe forse coordinare queste iniziative per agevolare la partecipazione.
Da una sentita partecipazione probabilmente nascerà qualcosa di importante.

Addis Abeba  29 maggio 2021

Riccardo Netti


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