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Il privilegio dei ricordi

by Redazione

di Fabrizio Molina

In questo radioso 2015, c’è chi tenta di ricordare che ricorrono i cento anni dall’inizio della prima guerra mondiale. O, per dir meglio, i cento anni dall’ingresso dell’Italia in guerra. Entrammo, infatti, un anno dopo che era scoppiata e, malgrado i libri di storia di ogni ordine e grado si impicchino per spiegarlo, nessuno che sappia davvero perché tardammo ad entrare e soprattutto perché dopo entrammo.

Mia figlia che ha sedici anni e al liceo studia ancora storia antica, mi ha chiesto se il Piave si può considerare una canzone fascista. Sono trasalito, non tanto per la scusabile – ma non tanto – ignoranza di una ragazza che non è ancora arrivata col programma, quanto perché ho avuto la conferma di come sessant’anni di centro e di sinistra abbiano lasciato alla destra fascista il privilegio di ricordare Casamicciola, Caporetto e Vittorio Veneto; il ricordo dei ragazzi del ‘99 che a soli sedici anni sono andati a farsi ammazzare sulle pietraie del Carso per una guerra che non potevano aver capito. Ho detto a mia figlia che il fascismo è salito al potere quattro anni dopo la fine di quella guerra e la canzone del Piave e che c’è salito sfruttando quei morti, non rappresentandoli. E che se ciò è potuto accadere, se la storia è stata violentata e la memoria stravolta, ciò si deve al fatto che abbiamo avuto la sinistra più forte e più idiota d’Europa.

Ieri poi leggo il fondo di Angelo Panebianco sul Corsera. Che considero un ottimo storico politico. Raccontava, stigmatizzandola, la storia di un Parlamento mezzo ottenebrato, che in questi giorni sta approvando un provvedimento che mette sullo stesso piano le centinaia di migliaia di morti che abbiamo avuto in guerra e i mille disertori che scapparono. Ora l’ingenuità posso perdonarla a mia figlia, ma a Panebianco come faccio?

Mi limito a pensare che l’Italia non è né un paese per giovani, né un Paese per gente che abbia letto almeno un libro di storia e che poi se la ricordi. L’Italia dimentica, seppure ha mai saputo qualcosa di sé.

Mia figlia, Panebianco e qualcun altro tra noi, siamo tutti un po’ soli, una minoranza, che sta assistendo ad un naufragio e non riesce a trovare voce abbastanza per far sentire l’allarme.

Fabrizio Molina


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