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Le politiche immigratorie: senza un progetto condiviso il fallimento è dietro l’angolo

“Il nostro lavoro è quello di ricostruire le principali decisioni concernenti le politiche dell’immigrazione dall’inizio dell’ultima crisi nel Mediterraneo (2015) ad oggi. L’obiettivo è quello di studiare il comportamento dei diversi attori coinvolti all’interno dei processi decisionali, con particolare riferimento al rapporto che intercorre fra disegno di policy e implementazione”. Con questo obiettivo l’Università di Genova sta realizzando una ricerca sulle Politiche dell’immigrazione attraverso una serie di interviste ad esponenti del sindacato, dell’associazionismo, del mondo imprenditoriale. Uno degli intervistati è il nostro vicepresidente Beppe Casucci, che risponde a queste domande (a cura della di Stella Gianfreda del dipartimento di Scienze Politiche) in quanto responsabile del Settore Immigrazione della Uil.

Dall’emersione della crisi dei migranti nel 2015 ad oggi quali sono state secondo lei più importanti decisioni prese a livello nazionale?

R. Direi il Global compact on Migration del 2017, che rappresenta una pietra miliare sul piano dell’approccio internazionale alla governance dei processi migratori. Anche per questo è un peccato che l’Italia non vi abbia partecipato. È importante perché, al di là dei limiti nelle proposte pratiche (non era vincolante) stabilisce il principio che migrare è un diritto umano, indipendentemente dalle motivazioni: economiche, climatiche o di sicurezza personale. A livello europeo, attraverso la nostra partecipazione alla Confederazione europea dei sindacati, abbiamo partecipato alla valutazione e monitoraggio delle direttive in materia di immigrazione.

Facciamo anche parte del comitato consultivo per la libera circolazione dei lavoratori in UE, al quale partecipiamo da anni attivamente.

A livello nazionale ci sono i due decreti sicurezza del 2018, da considerarsi assolutamente negativi in quanto, abolendo la protezione umanitaria, hanno prodotto l’espulsione di migliaia di migranti e richiedenti protezione dai CAS e dai CARA. Decidendo che il Pds non valeva ai fini della residenza, hanno prodotto l’impossibilità per queste persone di accedere ai servizi essenziali, a non poter accedere alla residenza, né ad un lavoro legale. Con il risultato di aumentare a dismisura l’area della irregolarità e dello sfruttamento lavorativo.
ll nuovo decreto (n. 130/2020) ha eliminato le dure misure restrittive sull’immigrazione e l’integrazione che erano entrate in vigore tra il 2019 e il 2018: ha reintrodotto di fatto la “protezione umanitaria” (chiamata “protezione speciale”) per i richiedenti asilo e ha ridotto le multe per le Ong che soccorrono i migranti in mare. La modifica è stata approvata con 153 Sì, 2 No e 4 astensioni.
Tra le cose più importanti, l’abolizione dell’obbligo della programmazione triennale per determinare il numero di ingressi per lavoro da stabilire nel decreto flussi.
Poi, in fase di pandemia, va citata certamente la procedura di emersione dal lavoro irregolare (resa purtroppo problematica dai tanti paletti e restrizioni, e in parte vanificata dalla pandemia. Ancora: estensione della validità dei titoli di soggiorno; la possibilità per i minori stranieri non accompagnati di poter essere ospitati nei centri di accoglienza un anno in più, oltre il compimento dei 18 anni.
In tema di lotta alle discriminazioni nei luoghi di lavoro, abbiamo rinnovato nel 2020 un protocollo e stabilita una cabina di regia, nell’ambito dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni (UNAR, per promuovere attività di sensibilizzazione pubblica e di lotta ad ogni forma di discriminazione.
Vanno infine ricordate le varie campagne portate avanti da sindacati ed associazioni della società civile per la riforma della legge sulla cittadinanza (n. 91/1992). Campagna Italia sono anch’io.

A quali di queste lei/la sua organizzazione ha preso parte?

Come sindacato abbiamo promosso campagne su tutti questi argomenti: eravamo favorevoli alla partecipazione dell’Italia al Global Compact; abbiamo partecipato a lobby presso la commissione europea per monitorare il funzionamento al fine di migliorare la funzionalità di alcune direttive (2003/986/CE; 2003/109/CE; 2008/115/CE; 2009/50/CE; 2009/52/Ue; 2011/98/UE). Abbiamo promosso mobilitazioni contro i decreti sicurezza del 2018 (campagna Io accolgo, assieme ad associazioni della società civile); abbiamo partecipato ad audizioni in parlamento per la modifica di questi decreti; abbiamo chiesto – all’inizio della pandemia- di prolungare la durata dei permessi di soggiorno, nonché di estendere la portata degli ammortizzatori sociali a sostegno anche delle forme di lavoro a tempo determinato. Abbiamo chiesto ed ottenuto che – nell’ambito della regolarizzazione – venisse comunque concesso un permesso per attesa occupazione, anche ai richiedenti stranieri la cui procedura non si completi positivamente, per cause indipendenti dalla loro volontà. Negli anni abbiamo partecipato a varie campagne culturali di sensibilizzazione: cittadinanza; accoglienza, lotta alle discriminazioni; campagne antirazziste, ecc.
I nostri patronati danno quotidiano supporto gratuito agli stranieri nello svolgimento delle pratiche burocratiche e nel supporto legale.

Di quali obiettivi specifici lei/ la sua organizzazione è stato portatore? Erano condivisi anche da altri attori coinvolti nel processo decisionale? Quali? Ci sono state forme di cooperazione/coordinamento?

La Uil è da sempre favorevole alla tutela dei diritti umani civili, a partire da quelli del lavoro; della equità di trattamento retributivo a parità di funzione svolta, senza distinzioni di genere, etniche, religiose od altro. Siamo dunque per l’inclusione di ogni essere umano nella nostra società. In materia migratoria crediamo importante la gestione ordinata dei flussi a livello europeo: necessario, dunque il superamento del regolamento di Dublino in favore di una maggiore collaborazione degli Stati Membri, nell’accoglienza sia di migranti che di rifugiati.
Nel concreto: siamo per l’emersione dalla irregolarità di chiunque abbia un lavoro (contrattuale e di status); siamo per il riconoscimento dei titoli e delle competenze professionali; la promozione di forme legali d’ingresso in Europa e nel nostro paese, nonché di corridoi umanitari per i rifugiati e richiedenti protezione; siamo per lo Ius soli e Ius culturae per dare ai giovani di origine straniera la possibilità di diventare italiani; siamo anche per una semplificazione delle procedure per chi cerca un lavoro, per chi chiede il permesso per lungo soggiornanti; siamo contrari ad ogni forma di discriminazione, ecc.
In questo lavoriamo in sintonia con le altre confederazioni sindacali e le associazioni della società civile. La UIL è anche membro fondatore del Consiglio Italiano per i rifugiati. Tra le forme di coordinamento, la partecipazione a reti di associazione (io non ho paura, io accolgo, Italia sono anch’io, reti a favore della diaspora, ecc.).
Come Organizzazione operiamo, in collaborazione con le categorie di settore, attraverso il Coordinamento Nazionale Immigrati UIL.

C’erano altri obiettivi in ballo? Quali attori se ne sono fatti interpreti?

L’obbiettivo principale è diventare una società inclusiva ed equa. Siamo in presenza di un vero “inverno demografico”, oggi peggiorato dalla pandemia. Se non mettiamo mano a questa situazione, l’Italia rischia di non avere un futuro roseo. Questo significa promuovere efficaci politiche a favore della natalità e della famiglia, ma significa anche che non ci possiamo permettere di respingere stranieri. Forse dovremmo promuovere forme di ingresso più selettive e qualificate, oltre che accogliere chi ha veramente bisogno d’aiuto.

In che misura le vostre priorità sono state recepite all’interno del processo decisionale? Quali sono le decisioni di policy che le riflettono?

Ci sono stati molti casi in cui le nostre richieste o il nostro ruolo di lobby politica ha prodotto risultati: dalla ratifica della Convenzione Ilo sul lavoro domestico nel 2013; all’allungamento della durata dei permessi di soggiorno e la creazione del permesso per ricerca occupazione; alla ratifica di molte delle direttive europee in materia di immigrazione e asilo. Negli ultimi anni, purtroppo, il dialogo con l’Esecutivo è stato molto difficile. In qualche caso pensiamo di aver dato un positivo contributo alla scelta del Governo e delle amministrazioni pubbliche. Non sempre però è stato possibile.

La vostra esperienza/contatti pregressa/i nel campo dell’immigrazione ha/hanno influenzato le soluzioni che avete proposto?

Aver lavorato per anni nel settore della cooperazione allo sviluppo è servito a focalizzare meglio la necessità di individuare le cause che producono le migrazioni, anche al fine di poter sviluppare concrete proposte in termini di sviluppo locale e diritto a non emigrare. I contatti con sindacati dei paesi d’origine dei migranti si sono rivelati molto utile per costituire e partecipare alla rete sindacati del mediterraneo. La RSMMS organizza gran parte dei sindacati del Mediterraneo e diversi Paesi Subsahariani dalla Costa d’Avorio, al Senegal, al Mali, al Niger, mentre diversi altri stanno aderendo, la maggior parte dei quali sono aree di origine delle migrazioni: un esodo che sta assumendo sempre più carattere epocale.

Alla luce della sua esperienza del processo decisionale, i possibili problemi relativi all’implementazione delle misure sono stati presi in considerazione? In che modo hanno influenzato le decisioni adottate?

L’Italia è molto brava a produrre buone leggi, ma molto meno brava nella fase di applicazione e controllo. Prova ne è la difficoltà nel combattere la tratta delle persone e il caporalato.


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