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Seconde generazioni e incontro tra domanda ed offerta nel mondo del lavoro: troppe disuguaglianze

by Redazione

Dal 2008 al 2013 si è assistito in Italia ad un aumento esponenziale del tasso di disoccupazione straniera passato dall’8,1% a quasi il 18%. E contemporaneamente, pur essendo aumentati anche il numero di occupati, il tasso di occupazione etnico è però calato di 6,5 punti, arrivando al 58,1% nel II trimestre 2013 (contro il 55,4% degli italiani). La forbice dei tassi di attività – tra autoctoni e non – si sta dunque progressivamente riducendo, anche per una maggiore propensione degli italiani alla mobilità professionale ed al peso occupazionale della crisi.

E proprio la depressione economica sta anche modificando gli atteggiamenti di italiani e stranieri, i primi più disposti che in passato ad accettare quegli impieghi (meno appetibili e meno remunerativi), che da tempo erano appannaggio dei soli migranti. Sembra dunque venir meno la fase di complementarietà tra italiani e non in materia di lavoro, mentre emergono segnali di un potenziale conflitto tra chi ricerca un impiego, autoctoni o stranieri che siano. Non sono pochi inoltre gli stranieri che decidono di lasciare il nostro Paese per ritornare a casa o per cercare impiego in un’altra nazione: nel 2012 – secondo stime – l’uscita di 32 mila cittadini stranieri avrebbe privato le casse del nostro Stato di almeno 86 milioni di euro. Lo stesso anno ha visto anche l’uscita di circa 68 mila nostri giovani in cerca di un futuro all’estero.

La Fondazione Moressa ha detto quasi due anni fa che il mercato del lavoro italiano occupa circa 455 mila giovani stranieri (il 14,2% del totale), mentre quasi 95 mila risultavano allora disoccupati.

Nel frattempo il tasso di disoccupazione giovanile è passato da 20,4 a quasi il 41,2 %, i giovani disoccupati italiani sono aumentati del 30%. In effetti, secondo recenti dati Istat, per la fascia di età 18-29 anni si registra un numero di disoccupati che giunge a un milione 68 mila (+17,2%, pari a 157mila unità) in crescita nel terzo trimestre dell’anno. Un dato impietoso.

Per quanto riguarda gli stranieri, recenti stime del Ministero del Lavoro – hanno conteggiato un numero di disoccupati superiore alle 511 mila unità. Ne risulta un aumento di almeno il 30% sulle stime Moressa di due anni fa: dunque è forse possibile ipotizzare una stima di almeno 130 mila giovani disoccupati stranieri. Senza contare chi lavora in nero e sono tanti.

A questi però dobbiamo aggiungere gli “inattivi”. Tra gli stranieri il Ministero del Lavoro ne ha conteggiati 1.250 mila, tra i quali non c’è dubbio si nascondano molti neet, soprattutto al di sotto dei 30 anni. Persone che non studiano e non cercano nemmeno lavoro, almeno non attraverso i canali regolari. Tutto questo è molto preoccupante, se consideriamo che quasi un quarto della nostra economia continua ancora ad essere sommersa. Un anno fa abbiamo ottenuto dal Governo che la durata del permesso per ricerca di occupazione fosse raddoppiata, da sei mesi ad un anno. Oggi questo tempo non basta più per trovare un nuovo impiego e molti stranieri regolari rischiano di non veder rinnovato il proprio permesso di soggiorno, il che equivale a dover andare via (assieme alla famiglia), abbandonando quanto conquistato in anni di sacrifici o, in alternativa, dover scivolare nel pozzo senza uscita della clandestinità.

Secondo la Fondazione Moressa: “I giovani stranieri mostrano comportamenti occupazionali diversi rispetto ai giovani italiani. La necessità di avere un lavoro per rinnovare il permesso di soggiorno, la mancanza di sostegno da parte della rete parentale e il disagio economico” – affermano i ricercatori – “portano i giovani stranieri ad affacciarsi prima degli italiani nel mercato del lavoro, accettando stipendi più bassi ma sicuri, mansioni meno qualificate e lavori in orari anche disagiati. Sebbene la crisi abbia colpito di più proprio dove la presenza straniera è maggiore (come al Nord), i giovani immigrati possono però contare su contratti più stabili, soddisfacendo ad una domanda di lavoro dal basso profilo che continua ad essere espressa dal sistema produttivo, economico e sociale”.

Ma è ancora così? Man mano che la crisi si approfondisce anche il segmento di mercato finora riservato ai giovani stranieri sembra esaurirsi.

Quali sono i fattori che rendono più difficile l’esistenza dei giovani stranieri? Intanto possibili discriminazioni nella fase di accesso al lavoro che può risultare più difficile per chi ha un nome straniero (soprattutto arabo), per chi parla male l’italiano, per chi ha titoli di studio ottenuti all’estero e quindi non riconosciuti in Italia.

E questo si traduce in discriminazioni anche a livello retributivo: sempre secondo vari stuidi, in media i lavoratori stranieri ricevono una retribuzione di quasi il 25% inferiore rispetto ai loro colleghi italiani: e questo a parità di funzione svolta.

In media, nel 2012 un dipendente straniero ha percepito circa 973 euro al mese, il 24,5% in meno di un italiano.

La situazione peggiora con l’aumento dell’età: se nella fascia 15-24 anni gli stranieri ricevono appena il 3,9% in meno degli italiani, per gli over 55 il gap sfiora il 40%. In questo caso la discriminazione aumenta con l’età del lavoratore.

La differenza è anche dovuta alle diverse professioni svolte e alla qualifica mediamente più bassa degli stranieri. Tuttavia, anche a parità di mansioni, si nota una discriminazione in busta paga in base alla nazionalità: nel settore dei servizi alle imprese e alla persona raggiunge il -22%. «Non fare storie! O ti va bene così, o vattene», ha spiegato il titolare di una piccola impresa edile milanese a Rahim, marocchino, quando ha osato far notare che il suo collega italiano, sebbene fosse piuttosto inesperto e di fatto diretto proprio da Rahim, prendeva uno stipendio più alto. E ha aggiunto: «E ricordati che in busta paga c’è anche il permesso di soggiorno!». In fondo, l’arroganza del capo di Rahim coglieva un punto spesso decisivo. Spiegano i ricercatori della Fondazione Moressa: «Il lavoro per gli stranieri è la condizione necessaria per avere e per rinnovare il permesso di soggiorno. Questo legame indissolubile può portare all’accettazione di condizioni occupazionali marginali, poco tutelate e, in alcuni casi, anche sottopagate». Questa comunque non è l’unica causa.

Il divario è dovuto a un mix di fattori, alcuni caratteristici del nostro mercato del lavoro. Come la disparità salariale in base al genere. Il nostro non è un mercato del lavoro per donne (straniere), si potrebbe dire. Se il fatto che le donne siano meno pagate degli uomini accomuna le lavoratrici di qualsiasi nazionalità, italiane comprese, le dipendenti straniere mostrano un divario retributivo con le italiane ancora più ampio rispetto a quello degli uomini con gli italiani: 20,5% in meno per i maschi, 30,5% per le donne.

Ma quali sono le differenze per i giovani stranieri e i giovani italiani riguardo ai contratti di lavoro e le retribuzioni?

I giovani occupati stranieri sono inquadrati con contratti più stabili rispetto ai giovani italiani. La quota di lavoro atipico è del 26,6% per gli stranieri e del 33,4% per i giovani italiani. Anche tra i lavoratori dipendenti la quota di coloro che sono inquadrati con contratti a tempo indeterminato è più elevata tra gli stranieri che tra gli italiani (72,0% contro il 64,8%). Questo è dovuto alla necessità di stabilizzare il lavoro ai fini del permesso di soggiorno. I giovani stranieri, rispetto agli italiani, ricoprono meno posizioni da autonomo e collaboratore, facendo registrare una quota di dipendenti dell’88,7%. Un giovane lavoratore straniero riceve una retribuzione mensile più bassa di 70 € rispetto ad un coetaneo italiano. Si tratta di un salario netto di 939 € contro i 1.009 percepiti da un giovane dipendente italiano.

Quali sono invece le differenze riguardo le professioni, i livelli di scolarizzazione e le condizioni di lavoro?

Per quel che riguarda il lavoro dipendente la quasi totalità di quelli stranieri ricopre la professione operaia, con circa l’83,2% e appena il 10,2% per la professione di impiegato.

Se si considera la componente italiana invece gli impiegati sono il 49,0%, mentre per gli operai sono appena del 42,3%.

Per contrasto, appena il 7,5% degli occupati stranieri ricopre ruoli di alta qualifica professionale, mentre per i giovani italiani la percentuale arriva al 42,3%.

Rispetto agli italiani, i livelli di scolarizzazione degli stranieri sono più bassi: in particolare il 48,3% di essi non supera la terza media e il 45,8% ha un diploma di maturità o di qualifica professionale (dati Miur 2011). La percentuale di coloro che invece è in possesso di una laurea o di un diploma universitario è appena del 5,9%, mentre per gli italiani il dato è intorno al 15%.

Pur mostrando livelli di istruzione medio-bassi, i giovani stranieri possiedono però titoli di studio più elevati rispetto a quelli richiesti dal mercato del lavoro per svolgere una certa professione. In particolare il 36% dei giovani stranieri è sotto inquadrato, mentre per gli italiani la quota scende al 27,7%.

Per gli stranieri si tratta in particolare di laureati che sono impiegati in professioni tecniche o impiegatizie, oppure di diplomati che lavorano nel commercio. Per quanto riguarda invece i diplomati della scuola superiore il più delle volte svolgono la professione operaia o non qualificata per la quale il mercato richiede appena la licenza media. I dati della ricerca mettono in evidenza che i giovani stranieri che possiedono un titolo di studio elevato, il 35% ha un profilo professionale medio e il 26,6% basso, mentre per gli italiani il 71,4% dei laureati lavorano in ambiti di maggiore specializzazione.

Un dato che accomuna giovani italiani e giovani stranieri riguarda il lavoro disagiato. I dati elaborati riportano, infatti, che quasi la metà dei giovani sia italiani che stranieri ha lavorato almeno una volta di notte o nei giorni di festa. In particolare è di notte che gli stranieri lavorano più spesso degli italiani (12,1% contro il 9,6%), mentre per le altre fasce orarie non si riscontrano rilevanti differenze.

Se si considera la bassa fertilità delle donne italiane (1,4 figli per donna, contro i 2,1 degli stranieri), si spiega chiaramente come nel 2012 uno su cinque dei nuovi nati avesse almeno un genitore straniero. I giovani stranieri in Italia sono quasi due milioni ed in aumento, al contrario dei loro coetanei italiani. Sono dunque destinati a costituire una fetta crescente del mercato del lavoro.

Per questo motivo sarebbe nell’interesse di tutti valorizzare la loro presenza, e gli studi e la formazione ricevuti ormai quasi sempre in Italia. Questo potrebbe permettere un loro maggiore apporto all’economia, soprattutto se si smetterà di relegarli alle funzioni più dequalificate e “low cost” del mercato del lavoro italiano.

 


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